Anche tra gli addetti ai lavori si ritiene che sul mercato vi sia una battaglia tra prodotti e che il prodotto migliore alla fine prevarrà.
Chiariamo, il marketing non è una battaglia di prodotto bensì di percezioni.
Il marketing è una fabbrica di (bei) sogni, un mondo parallelo dove la realtà tangibile in effetti si attenua, ovvero viene sostituita da quelle sono, in bella sostanza, delle narrazioni rassicuranti.
Come giustamente osservava la scrittrice statunitense Anais Nin “noi non vediamo gli oggetti per come sono, ma per come siamo noi”.
A livello neurologico il mondo fisico nel quale siamo immersi è un caos di segnali dal quale ad ogni istante la mente cerca di estrarre un senso, un significato, una coerenza. Per questo tutti noi interpretiamo la realtà in modo diverso e le percezioni che otteniamo a livello sottostante la consapevolezza variano sulla base dei segnali che privilegiamo.
In effetti i nostri sistemi percettivi ci ingannano (come attestano le illusioni ottiche costruite proprio per dimostrare le debolezze delle nostre valutazioni).
Il marketing applicato ai prodotti cerca di manipolare queste percezioni per mostrare una realtà magicamente alterata in accordo alle attese di un particolare target di consumatori.
L’errore di molti markettari è stato quello di ritenere che vincerà il prodotto migliore, non solo in termini di successo ma anche di volumi di vendita. Se un prodotto è il migliore, chi mai rinuncerebbe al migliore? Questo è stato il presupposto dei grandi flop fondati sulle reali performance piuttosto che sulle percezioni.
Prendiamo ad esempio il mercato del vino. Si potrebbe pensare che il vino migliore vincerà e sosterrà il prezzo più elevato. Ma migliaia di blind test dimostrano l’esatto contrario: sono l’etichetta e la brand image (costruita attraverso i vari artifizi della comunicazione in consonanza alle aspettative di un particolare target di utenza) a determinare non solo il prezzo ma anche il gusto.
Il consumatore crede in ciò in cui vuole credere ed il marketing è pronto ad assecondare i suoi desideri.
Prima di assaggiarlo, e pagarlo ben caro, deve essere convinto di trovarsi di fronte ad un’esperienza trascendente riservata agli intenditori, quelli veri (d’altronde tutti ne parlano bene ed anche i critici specializzati ne apprezzano le note di degustazione con mirabolanti appellativi, quindi va da se che non può essere che speciale).
Per una bottiglia di Bordeaux Romanée-Conti (una particella di vigneto di infimissime dimensioni) qualcuno è stato disposto a spendere centinaia di migliaia di dollari. Lo stesso avviene per i quadri, le opere d’arte, le automobili, insomma per tutti i prodotti ad alto valore simbolico.
Per approfondire vedi il nostro “Cosa hanno in comune il gioco delle tre carte ed il marketing invisibile“
Prendiamo ad esempio tre grandi marchi presenti sul mercato della fotocamere digitali: Nikon, Canon e Lumix. La maggior parte degli imprenditori, e dei markettari, probabilmente ritiene che la battaglia si basi sulle performance, il design, il prezzo…
Spiacenti, niente di tutto questo. Lo scontro tra le marche non avviene sul mercato ma sulle percezioni che gli acquirenti target hanno delle tre marche. Ed infatti nelle varie nazioni le graduatorie di vendita dei tre marchi variano moltissimo, anche se le fotocamere sono sempre le stesse. Sono le percezioni sulle performance (che dovrebbero essere oggettive) che invece variano in modo consistente e determinano le scelte di marca.
Se chiedo a 100 fotografi professionisti italiani, estratti casualmente, di completare la seguente frase “il fotografo professionista che usa una fotocamera Nikon è …..” posso constare come le risposte sul completamento della frase convergano su alcune caratteristiche tecniche. Ecco quella è la percezione che il fotografo professionista medio ha della Nikon.
Chiedo poi di completare la stessa frase sostituendo la denominazione del brand e raccolgo altre informazioni comparative che mi saranno utili per comunicare correttamente il mio brand anche nelle altre nazioni. In Giappone e negli USA infatti il percepito sarà molto diverso.
E, cambiando registro e passando dal marketing alla magia della prestidigitazione, gli illusionisti lo sanno bene. Quando un prestigiatore ti chiede di selezionare una carta che poi dovrà indovinare tu sei convinto che lui userà un trucco per riuscire ad indovinare la carta che hai prescelto. Spiacente, tu non scegli un bel niente, il gioco è già impostato; lui ha già fatto la scelta per te facendoti selezionare quella determinata carta. Questo tipo di trucchi vengono definiti dai prestigiatori manipolazioni, tecniche per forzare la tua scelta facendoti credere che la scelta sia tua.
Ed in effetti il marketing si apparenta alla magia, costruendo utensili sempre più elaborati per generare dalla realtà delle cose percezioni ed emozioni pilotate; basta capire non come funziona la mente ma cosa percepisce la mente del mondo che ci circonda. Le tue scelte, quando il team di marketing aziendale sa fare il suo lavoro, sono già determinate a monte sulla base delle tue credenze e convinzioni.
Tanto per esemplificare, ma la ricerca motivazionale sul posizionamento mentale dei marchi è ovviamente molto più complessa e articolata.
Toc Toc!
Mi auguro che a questo punto sia chiaro che dobbiamo indagare le percezioni che si hanno dei prodotti attraverso la ricerca di marketing qualitativa per vincere sul mercato perché la battaglia non è tra la fisicità dei prodotti, ma, anzi, sul loro valore simbolico!