Ai miei tempi (parlo degli anni ‘50) non esisteva per un ragazzo marchio più infamante all’interno della comunità dei suoi coetanei di quello che lo connotava come “deviante” in ambito sessuale.
Ma già a partire dagli anni ’70 sempre più spesso i protagonisti della cultura giovanile (stilisti, band musicali, cantanti di successo), hanno cominciato ad esporre, ed anche esibire, le proprie diversità, facendo dell’omosessualità, e della trasgressione sessuale in genere, non solo una realtà con la quale ci trova a convivere, ma anche una scelta positiva, coraggiosa, “moderna”, cioè simpatica.
In termini di marketing il target dei “metrosessuali” (soggetti coinvolti in quella che ci permettiamo di definire la “trasgressione metropolitana”) è particolarmente appetitoso: si tratta di soggetti spesso inseriti nelle élite professionali (o che ambiscono a diventarlo), con notevole capacità di spesa ed un’ancora più intensa propensione ad investire nella cura della persona e nell’abbigliamento.
Non a caso la comunicazione pubblicitaria di questo tipo di prodotti si rivolge specificatamente a questo peculiare target, anche perché si tratta volontieri di opinion-leader, fortemente motivati a esibire il loro posizione sociale.
L’occasione per queste divagazioni è stata la divulgazione di un’indagine sulle resistenze della mia generazione nei confronti dei nuovi stereotipi in materia di immagine maschile proposti dall’attuale comunicazione: Gli uomini più anziani restano attaccati all’immagine maschile degli anni ’50, ’60 (Older men cling to 1950s, ’60s blueprint of masculinity).
Questo condizionamento ci renderebbe incapaci di adeguarsi ai nuovi modelli dell’immagine virile, più disinvolti, aperti e liberi. Già nelle rilevazioni statistiche, prima in lingua inglese e poi a seguire in italiano la classificazione del rispondente ara passata dall’indicazione del sesso all’indicazione del genere.
Qualche tempo fa mia figlia nella costruzione di un questionario autocompilato aveva suscitato la disapprovazione di una sua amica svedese, anche lei coinvolta nell’indagine, in quanto la domanda Genere prevedeva soltanto le risposte precodificate maschio/femmina, omettendo ulteriori modalità di identità di genere.
In Svezia, mi ha riferito, è considerato “politicamente scorretto” e retrogrado limitare l’espressione del personale mix di orientamenti sessuali, pertanto per adeguarsi si deve quantomeno indicare la risposta “altro” o forse “non so, non risponde”.