Si potrebbe appunto cominciare proprio dal serpente, quello che persuase Adamo ed Eva, come esempio primordiale di influencer, in altri termini di manipolatore del pensiero altrui.
Oppure in tempi storici dai sofisti ateniesi che misero al centro del sapere le arti della retorica e dell’eloquenza. Aristofane, il commediografo, attribuiva a Socrate la responsabilità di praticare l’insegnamento della tecnica argomentativa che trasformava il bianco in nero ed il nero in bianco, il discorso giusto in quello ingiusto e quello ingiusto in quello giusto. Insomma, sosteneva Aristofane, Socrate corrompeva la gioventù ateniese.
In effetti le tecniche di vendita e di negoziazione sul mercato risalgono all’alba dei tempi ed il rapporto tra chi vende e chi si fa convincere è rimasto sempre lo stesso. In estrema sintesi: è precipua responsabilità dell’acquirente diffidare delle parole del venditore (ben lo puntualizzavano i latini: caveat emptor.
Ma se vogliamo avvicinarsi ai tempi nostri c’è stato un particolare lasso di tempo – negli anni fra il 1905 e il 1910 – quando prese forma la consapevolezza che domanda, offerta e prezzo non erano più gli unici attori che influenzavano gli scambi (anche perché era aumentata la distanza, non solo fisica, tra chi produceva e chi acquistava).
Gli studiosi della vita economica e quelle aziende che in seguito sarebbero diventate multinazionali planetarie (Procter & Gamble, Colgate Palmolive e Johnson & Johnson) avvertirono l’esigenza di una denominazione adeguata per indicare una nuova disciplina che ampliava e inglobava svariati aspetti di molte altre discipline e attività professionali, non necessariamente di stampo economico. Era stata coniata la parola MARKETING. Questa nuova parola, omnicomprensiva delle diverse variabili in gioco che influenzavano la vendita ed il mercato era infatti il “marketing”, gerundio del verbo to market (commercializzare, immettere sul mercato, vendere, distribuire), tempo che indica in maniera impersonale un’azione in corso.
I primi manuali dove figurava la parola “marketing”, ovviamente nel senso attribuito nell’ambito microeconomico, furono dati alle stampe proprio all’inizio del XX secolo.
Una volta portato alla luce il basamento scientifico nacquero e si consolidarono altre discipline afferenti al marketing, in primis le ricerche di marketing per la raccolta delle informazioni, e successivamente (sempre mantenendo la giusta separazione degli obiettivi e dei campi di studio) la pubblicità, le pubbliche relazioni e lo studio dei canali di vendita e di tutto ciò che poteva supportare la vendita dei prodotti grocery in assenza della figura del banconista (ovvero le tecniche di visual merchandising).
A questo punto era nato il marketing come disciplina accademica e operativa. Ma nonostante la sua serrata logica e la sua efficacia, di fatto nelle aziende continuava a restare preminente il dipartimento vendite a cui spettavano tutte le decisioni fondamentali, innanzitutto in fatto di prezzi e sconti.
Oggi nelle aziende multinazionali di beni di largo consumo, prima di intraprendere una qualsiasi iniziativa, si fa sempre riferimento ad un imprescindibile piano di marketing, mentre in quasi tutte le PMI nazionali, le scelte, anche strategiche, di marketing vengono decise o dalla proprietà o dall’ufficio vendite (ma comunque devono sottostare al giudizio dell’ufficio vendite).
A distanza di cento anni dalla nascita del marketing, per molte PMI, dove le scelte non si basano su un sistema informativo, non è ancora chiaro che chi si occupa della vendita è sempre mentalmente orientato al prodotto, focalizzato sulle caratteristiche di prezzo e performance (mentre il supporto del marketing nasce proprio dall’osservazione e dall’ascolto del mercato). A noi questo modo di procedere (ascolto del mercato e raccolta dati) sembra di una logica stringente. Evidentemente non per tutti, visto che rinunciano spensieratamente all’unico strumento che gli permette di stare in sintonia con la domanda di mercato. Auguri!