I diversi prodotti di consumo vengono concepiti per rivolgersi ai diversi segmenti di consumatori. Se una volta la segmentazione era prevalentemente in base all’età, al reddito ed al genere, oggigiorno la segmentazione è diventata molto più sofisticata e poggia sulle caratteristiche psico-sociali dei diversi pubblici a cui si rivolge. Ma dal lato del profitto per l’industria, la segmentazione più efficace rimane quella per genere, ovvero per sesso, come si diceva una volta.
I prodotti che si rivolgono al pubblico femminile sono infatti, nella quasi totalità dei casi, più cari degli stessi identici prodotti che hanno come target il pubblico maschile. E non solo i prodotti ma anche i servizi: se l’utente è donna, il prezzo del servizio viene maggiorato.
Il motivo consiste nella stessa definizione del prezzo dal punto di vista del marketing: il giusto prezzo di un prodotto/servizio è quello che il target è disposto a corrispondere per ottenere quel bene.
La discrepanza del costo della vita per “l’altra metà del cielo” inizia già dalla prima infanzia; l’abbigliamento femminile infatti in questa fase del ciclo di vita è di circa il 23% più caro rispetto a quello maschile. Le differenze di prezzo sulla base del genere proseguono negli anni: quasi tutti i prodotti destinati al pubblico femminile sono contraddistinti da un prezzo sempre superiore a quelli destinati agli uomini. Le organizzazioni per la difesa del consumatore hanno definito questo scarto di prezzo “la tassa rosa”, cioè un sovrappiù che le donne di tutto il mondo, pur con salari inferiori a quelli degli uomini a parità di lavoro, debbono pagare per possedere gli stessi beni.
L’esempio più manifesto è rappresentato dai rasoi per la depilazione, dai prezzi nettamente diversificati; quelli destinati alla rasatura della barba, perfettamente identici a quelli per la depilazione femminile, costano molto meno. Certo, il colore è diverso, così come l’impugnatura, il design e le istruzioni d’uso, ma le performance sono perfettamente identiche.
Le differenze sono riscontrabili comunque anche nei profumi, negli shampoo e nei balsami (i prodotti per la cura della persona riservati alle donne sono maggiormente segmentati e quindi meglio differenziabili nel prezzo), così come nell’abbigliamento: jeans, shorts, scarpe sportive. Ed anche nei prodotti semidurevoli: le biciclette per donna costano di più (magari per l’aggiunta di un cestino o perché diversamente colorata). Se poi ci riferiamo ai servizi, è facile constatare che un taglio di capelli per uomo costa la metà di quello per donne. Idem per i trattamenti estetici, ai quali solo da pochi anni si è avvicinato il pubblico maschile. I produttori ritengono che i maggiori volumi di vendita per il segmento maschile consentirebbero una riduzione di prezzo riservata a questo segmento.
Ma al di là delle scuse che si possono invocare per giustificare queste differenze di prezzo, forse bisognerebbe chiedersi da consumatori come riequilibrare i prezzi. Il primo consiglio potrebbe essere quello di acquistare comunque prodotti destinati al target maschile anche quando l’utente è femminile. E non limitarsi ai prodotti, ma anche ai servizi, ad esempio rivolgendosi al parrucchiere unisex, esigendo, se il tipo di taglio lo consente, l’applicazione della tariffa uomo. Molto più efficace potrebbe essere una sorta di class-action, telefonando e scrivendo alle aziende per equiparare i listini. Ma soprattutto scrivere sui social, commentando i prodotti che praticano prezzi più alti se riferiti alle donne.
Le aziende sono molto sensibili ai feedback e ai rumor dei consumatori e quando questi diventano omogenei, insistenti e diffusi nel corpo sociale, un minimo di attenzione viene dedicata. Nel mondo del marketing le richieste del consumatore contano.