Quando si parla di Marketing il pensiero si rivolge con immediatezza ai beni di largo consumo e alle grandi aziende. Sono questi infatti i riferimenti più visibili, oggetto di studio di qualsiasi studente di Marketing. Questo perché il Marketing è stato (ed è) lo strumento con cui la grande industria riesce ad affrontare mercati di una importante vastità e complessità, senza conoscere direttamente ed individualmente l’acquirente finale. Le tecniche del marketing ovviamente possono rivelarsi utili se non indispensabili proprio per le realtà commerciali o produttive di piccole dimensioni, sempreché i costi di intervento e le metodiche adottate risultino adeguate alle capacità di investimento dell’azienda.
Il commercio e in generale la piccola impresa sta attraversando un periodo di oggettive difficoltà causate sia dalla voracità del fisco sia dalla incontenibile concorrenza dei grandi gruppi organizzati. Vogliamo illustrare uno specifico caso che riteniamo interessante per chi ci segue. I soci proprietari di un negozio di servizi di estetica posto in una cittadina ai margini di un’area metropolitana pensavano di trasferire l’attività in alcuni locali distanti un paio di centinaia di metri cambiando il look che apparteneva alla “vecchia” sede. Questo mutamento di immagine (più giovanile, accattivante, sensuale), secondo gli standard ormai accreditati negli esercizi metropolitani, aveva fatto sorgere il dubbio di una possibile emorragia di clientela poco disponibile a frequentare un ambiente così pretenzioso. Ci fu affidata un’indagine sulla clientela già acquisita dalla “vecchia” attività e quella che poteva essere attratta dalla “nuova”. Lo scopo dell’indagine era di simulare un “saldo” del numero di clienti.
Quanti sarebbero stati i nuovi clienti e quanti sarebbero stati gli intenzionati a rivolgersi alla concorrenza locale analoga per immagine e offerta di servizi alla vecchia attività?
La ricerca, condotta tramite interviste personali a frequentatrici di negozi di estetica, mise in luce un’altro aspetto, al momento non considerato dai proprietari: piuttosto che di trasferimento sarebbe stato più interessante parlare dell’apertura di un nuovo negozio totalmente diversificato dall’attività esistente lasciando in essere quello già esistente.
Questa scelta avrebbe consentito di conservare e capitalizzare il business già acquisito e di lanciarsi in un nuovo business razionalmente pianificato a tavolino. La creazione di un’attività con un posizionamento appuntito sullo specifico diverso target d’utenza avrebbe consentito di non interferire con la prima sede: quindi nome, pubblicità, immagine talmente diversa da non far neppure trasparire la comune proprietà.
Si tratta di una tecnica ben conosciuta dai produttori di beni di largo consumo. In certi comparti ad esempio non si riesce fisiologicamente (anche a costo di enormi investimenti promo-pubblicitari) ad andare con un marchio oltre una certa quota di mercato. L’espediente è allora di dar vita ad un nuovo marchio che riesce ad operare su di un segmento di mercato totalmente indipendente dal primo. In questo modo l’azienda può, con 2, 3 o più marchi riuscire a raggiungere complessivamente una quota di mercato negata al singolo prodotto senza dissanguarsi con gli investimenti pubblicitari e soprattutto ripartendo il rischio imprenditoriale su mercati indipendenti.
L’intuizione è stata giusta. I soci proprietari con questa nuova attività hanno, a distanza di un anno dall’inaugurazione, più che raddoppiato il giro d’affari,rivolgendosi a due target diversi , senza aver rischiato un trasferimento dall’esito aleatorio.