In tema di consumi alimentari ci sono dei segnali di novità; un esempio significativo è rappresentato dall’insofferenza verso lo spreco alimentare da parte di una quota crescente di consumatori nei confronti della Grande Distribuzione (si tratta di quella parte di prodotti alimentari sempre buoni da consumare che finisce in discarica), una consapevolezza che si nutre, è il caso di dirlo, dalla coscienza ecologica ed ecologista.
Lo spreco è in realtà un’inevitabile conseguenza del carattere industriale e commercialmente massificato assunto dalle produzioni agricole. Ma il fatto è che alcuni consumatori tendono a conferire una connotazione etica (oltre che economica) allo spreco, diventando protagonisti dell’evoluzione degli stili di consumo. Perché effettivamente lo spreco è di dimensioni colossali: si valuta che circa la metà della produzione alimentare venga sprecata lungo il tragitto dai campi al cassonetto dell’immondizia.
Il paradosso è che al centro dello spreco ci sono comunque le scelte di consumo dello stesso consumatore finale (ovviamente modellate dal marketing e dalla comunicazione), mentre gli attori economici (produttori e distributori) a questa situazione si adeguano.
Il prodotto alimentare deve infatti, per essere acquistato, corrispondere anche a criteri estetici: una mela ammaccata non può stare in una vaschetta del super, così come un pomodoro di colore non uniforme o una fetta di carne di aspetto non invitante.
Agricoltori ed allevatori – in quanto operatori economici – sono obbligati a scelte razionali: è più conveniente lasciare marcire nei campi frutta e verdura intaccate dalla grandine, piuttosto che sopportare i costi di raccolta di che non verrebbe accettato né dai distributori né dai consumatori. Analogamente, se i prezzi per il latte scendono al di sotto del margine di redditività, diventa più conveniente spedire le vacche al mattatoio.
Anche a livello del confezionamento, il prodotto che non corrisponde ai criteri standard di maturazione, dimensionali o estetici, viene inesorabilmente scartato.
Ricordo un’azienda che si ostinava a allevare polli da un chilo e mezzo perché di migliore qualità, quando la Grande Distribuzione, ritenendoli fuori standard, non li prendeva neppure in considerazione. Risultato? Lo potete immaginare!
A sua volta, la fase della distribuzione comporta un’inevitabile quota di distruzione: le uova si rompono, il latte si versa, le scatole si ammaccano, tutto si sporca…
Ma in effetti è presso il consumatore finale che la dimensione dello spreco si amplifica, specialmente quando si acquista troppo rispetto al bisogno reale e dalla rigida osservanza delle date di scadenza: un prodotto alimentare è ancora consumabile subito dopo la data di scadenza, ma quanti sono disposti ad assumersi il rischio?
Davanti all’indignazione di una quota significativa di elettori per lo spreco programmato si è intervenuti a livello legislativo: in Francia è stata approvata una legge che impedisce ai supermercati di rendere non consumabili le derrate alimentari scaricate nei cassonetti (in prossimità di scadenza o esteticamente inadeguate, comunque invendibili) cospargendole di liquidi maleodoranti. I supermercati saranno tenuti a destinare questa produzione alle associazioni di sostegno ai bisognosi. Lo scorso anno un provvedimento ispirato alla stessa motivazione è stato approvato anche nel nostro paese.
A sua volta l’industria della distribuzione ha cominciato a rispondere all’inquietudine dei consumatori: a Copenhagen ha aperto “WeFood”, un’organizzazione no-profit, che vende alimenti in prossimità di scadenza a prezzi ridotti.
Negli Stati Uniti, nel Massachusetts ha aperto un supermarket denominato “Daily Table”. Come nel caso di WeFood, l’offerta consiste esclusivamente di prodotti in prossimità (o anche lievemente posteriori) alla data di scadenza, con prezzi molto al di sotto di quelli dei supermarket convenzionali.
In Belgio l’insegna Carrefour ha attivato un’iniziativa che offre a prezzi ridotti prodotti ormai invendibili.
In diversi paesi europei cooperative di consumo alimentare offrono frutta e verdure non adeguate ai criteri cosmetici standard a prezzi adeguati alle disponibilità dei bisognosi.
Anche Walmart si è adeguata, per esempio mettendo in offerta patate “imperfette” a prezzo ridotto, oppure riconfezionando il contenitore delle uova dopo la rottura di un uovo.
Walmart ha anche voluto mostrare ai suoi clienti un volto “green” generando energia elettrica dagli scarti alimentari.
Stanno forse maturando i tempi per nuovi brand della distribuzione al dettaglio che garantiscano il consumatore sull’impegno della lotta allo spreco, lungo l’intera catena – dai campi alla tavola del consumatore – con un sigillo “senza spreco”, che ormai sembra rappresentare un significativo vantaggio in termini di marketing. Come si dice “piatto ricco mi ci ficco” e così mi posiziono come il “cavaliere verde contro l’inutile sciupio”.