Ahimè, il focus group pur essendo la tecnica di indagine qualitativa determinante per sviluppare, esaminare, modificare, denominare, verificare l’accoglienza nel mercato di un prodotto o servizio, è nella realtà sempre meno utilizzata. In effetti il focus group costa (a partire dal reclutamento dei partecipanti che comporta costi non comprimibili, se non sacrificando l’affidabilità delle risultanze), richiede specifiche competenze nella conduzione ed esperienze pregresse. Non è solo complesso da gestire ma è talvolta difficile farne capire l’utilità ai committenti per la ridotta numerosità statistica. Difficile anche perché la tecnica del focus group non è standardizzabile a priori e segue percorsi imprevedibili.
Il focus group è sorto circa 80 anni fa ad opera di due sociologi americani, Lewin e Merton, per essere impiegato nelle ricerche sociali. Il Focus Group veniva, e viene tuttora utilizzato per verificare le reazioni delle persone ad un determinato argomento, accadimento o prodotto.
Prima di fare un sondaggio numericamente rilevante – su questo aspetto tutti i ricercatori concordano – sarebbe sempre necessario acquisire tutte le informazioni possibili sull’argomento tramite una fase esplorativa (focus e/o interviste qualitative) per la definizione delle aree da investigare. Purtroppo oggi raramente questo avviene perché i questionari sono standardizzati e vengono redatti a tavolino senza alcun confronto con la realtà.
A proposito di Robert Merton, oltre alla sistematizzazione metodologica del focus group, è giusto ricordare che suo è il concetto di profezia che si autoavvera (una profezia che si realizza quando in conseguenza della profezia gli individui alterano il proprio comportamento in modo da determinare proprio ciò che era stato profetizzato) e che rappresenta uno dei padri fondatori della sociologia moderna, impegnato soprattutto nell’ambito della criminologia. A tale proposito sarebbe utile rileggere le considerazioni di Merton a proposito della genesi e della gestione della devianza sociale nell’attuale società.
L’evoluzione del focus fu rapidissima. Dopo soli pochi anni dalla creazione della tecnica da parte di Merton, il focus group venne infatti utilizzato in ambito commerciale e pubblicitario da Ernest Dichter con l’applicazione dei concetti e delle tecniche psicoanalitiche freudiane al mondo del business. Si affermò in particolare lo studio del comportamento dei consumatori sul mercato per la manipolazione dei bisogni umani attraverso una comunicazione pubblicitaria basata sull’analisi del subconscio piuttosto che sulle affermazioni degli acquirenti, nella convinzione che la gente non si comporta sempre in modo razionale, dica sempre la verità e che sappia quello che realmente desidera.
Avevo già indicato in un mio precedente post https://www.freniricerchedimarketing.com/oltre-lo-specchio-oltre-lo-schermo/ quanto sia indispensabile l’indagine qualitativa per disporre dell’informazioni più pregiata per poter definire una strategia di marketing vincente. Segnalo a questo proposito la mia intervista “impossibile” a Dichter per capire l’importanza nell’ambiente del marketing dell’esperienza del padre della ricerca motivazionale: https://www.freniricerchedimarketing.com/il-mio-incontro-con-ernest-dichter-il-padre-della-ricerca-motivazionale/
Allora niente di meglio che ricordare la prima indagine motivazionale condotta da Dichter utilizzando tutto il nuovo armamentario proveniente dalla emergente psicoanalisi freudiana.
All’inizio degli anni ’50, la Betty Crocker Company aveva un problema: le casalinghe americane adoravano realizzare torte in casa, ma nella realtà comportamentale non si servivano delle comode miscele per torte già pronte che garantivano un risultato ottimale.
Così l’azienda si rivolse all’allora poco conosciuto Ernest Dichter, uno psicologo viennese che aveva sviluppato una nuova modalità di effettuare la ricerca di mercato, e gli chiese di scoprire perché le casalinghe non si servissero dei loro preparati per torte, nonostante che sempre più donne lavorassero fuori casa (il che avrebbe dovuto rendere particolarmente allettante la comodità di questi preparati). Inoltre l’economia era in crescita e il reddito era aumentato garantendo alle famiglie più soldi da spendere per i beni di prima necessità e, va da sé, per provare nuovi piatti. Nel clima del dopoguerra l’industria alimentare statunitense era infatti in forte crescita con tante nuove proposte (dai prodotti in scatola ai surgelati), utili sia per la lunga conservazione che per la praticità d’uso, ma non premiava nello stesso modo le miscele per dolci che pure vantavano le stesse caratteristiche.
Dichter, che aveva denominato il suo nuovo metodo di indagine di mercato “ricerca motivazionale“, utilizzò, uno strumento relativamente nuovo per rispondere a questa domanda: i focus group. La sua risposta alla Betty Crocker fu in estrema sintesi: le donne si sentivano in colpa per non aver preparato tradizionalmente le torte per le loro famiglie. Servire un piatto interamente preparato le metteva a disagio. Per la prima volta il focus group aveva fatto luce sulle complessità psicologiche che ostacolano le abitudini di acquisto delle donne nei confronti del cibo istantaneo per chi non ha più il tempo di cucinare e preparare il cibo in modo tradizionale. Nel contesto della conversazione di gruppo emersero i sentimenti contrastanti delle donne sui cibi pronti, anche se li consideravano molto comodi per la rapidità nella realizzazione e senza possibilità di errore. Le intervistate avvertivano un senso di disagio per aver servito ai propri familiari un piatto già interamente preparato senza alcun intervento nella personalizzazione del piatto.
Così scriveva Dichter nel suo report finale rifacendosi alle teorie freudiane: “La cottura è un’espressione di femminilità, quindi quando una donna tira fuori dal forno una torta o una pagnotta – in un certo senso è come partorire. Così le miscele che richiedono al cuoco di aggiungere solo acqua vengono considerate minacciose per le donne, poiché il loro ruolo viene sminuito”.
Dichter individuò quindi la soluzione ai problemi messi in evidenza nei focus group: si trattava di alleviare il senso di colpa delle casalinghe dando loro un maggior coinvolgimento. Come? Bastava inserire nel packaging e nella comunicazione: “Aggiungere un uovo.” Con questa semplice modifica alla ricetta (uova fresche piuttosto che in polvere che rendevano la torta “fatta in casa con amore”), le vendite di farina per torte decollarono.
Questo fu il primo successo del marketing individuato attraverso un focus group ”.
Bill Schlackman, assistente di Dichter (tratterò in un altro post la rilevante figura di questo ricercatore) che aveva condotto buona parte dei focus group affermò nel corso di una intervista: “Al momento della ricerca, le casalinghe americane esprimevano entusiasmo per i cibi pronti istantanei, ma i produttori di alimenti sapevano che le casalinghe non li stavano comprando. Dichter aveva scoperto che esisteva un ostacolo al consumo del prodotto sotto forma di disagio per l’utilizzo di un preparato e riteneva che alcuni concetti non potessero essere confermati da metodi di ricerca quantitativi”.
Ancora oggigiorno, grazie a Dichter, quasi tutte queste miscele comportano l’aggiunta di uova, simbolo di fertilità e per dimostrare affetto ai propri familiari.
Incredibilmente il libro di Vance Packard “I persuasori occulti” che doveva essere un atto di accusa sulle attività promosse dall’Istituto di Ricerca Motivazionale, contribuì inavvertitamente alla fama di Ernest Dichter presso il grande pubblico e di conseguenza alla ricerca motivazionale. “I persuasori occulti” illustrava le molteplici esperienze in ambito motivazionale di Dichter spiegando perché facciamo quel che facciamo, anche quando non è razionalmente giustificabile:
https://www.freniricerchedimarketing.com/la-pubblicita-subliminale/
Pur essendo nelle intenzioni di Packard sferrare un attacco alla professione del pubblicitario, il risultato fu che le agenzie pubblicitarie di Madison Avenue si resero conto dell’importanza della ricerca motivazionale per il successo delle loro campagne. Fino ad allora si riteneva che la ricerca di mercato richiedesse campioni probabilistici di migliaia di intervistati per validare i risultati mentre Dichter sosteneva, a ragione, l’uso di piccoli campioni e di tecniche psicoanalitiche per determinare le motivazioni più profonde dei consumatori.
I focus group dagli anni ’50 sono arrivati a dare forma a quasi ogni aspetto della nostra vita, dalle bambole Barbie ai rasoi multilama ai prodotti per la cura della persona e della casa e così via. Quasi nessun prodotto durante la seconda parte del secolo scorso è stato lanciato sul mercato, specie da parte delle multinazionali, senza effettuare dei focus group.
E oggi? Lo scenario delle ricerche di marketing negli ultimi venti anni è totalmente cambiato a causa della crescita delle ricerche online ma anche per la perdita dell’appeal dell’indagine qualitativa condotta di persona (Face to Face, colloqui individuali in presenza, motivazionali, interviste in profondità, interviste semistrutturate, focus group in presenza) per i motivi che abbiamo già indicato. Sembra quasi che nel mondo della ricerca ci si sia scordati della potenza che le parole possono avere nell’orientare l’opinione pubblica, parole persuasive con poteri straordinari che possono essere intercettate solo con metodologie qualitative ed in primis con i focus group.
Il focus group consente infatti di cogliere i processi di decodifica e comprensione delle parole e dei segni che danno il vero senso al discorso. Questo percorso interpretativo è decisivo perché come recitava Budda: “Le parole hanno il potere di distruggere e di creare. Quando le parole sono sincere e gentili possono cambiare il mondo.”
Le parole possono cambiare il loro significato a seconda di chi le usa, della posizione che occupa quella persona, dove e quando la parola viene usata, ecc. Sono queste circostanze che consentono di costruire un significato certo. Si consideri, ad esempio, la lettura di un libro, di un film, o di uno slogan, un colore o un logo. La lettura dello stesso libro, film o slogan tra 20 anni sarà certamente diversa; è comune sentire qualcuno dire: “La prima volta che l’ho letto, non mi è piaciuto molto” oppure “mi è piaciuto di più” di allora. Uno slogan, un logo, una metafora possono prestarsi nel tempo, e nello spazio, a diverse interpretazioni e avere un impatto molto differente. E proprio per questo motivo le parole possono servire a modificare la percezione della realtà.
Il politically correct, i neologismi della pubblicità, l’utilizzo di parole inglesi da parte della nostra pubblica amministrazione… (di)mostrano l’importanza attribuita al lessico nel ridefinire la realtà o nasconderla. D’altronde la parola è in grado di modificare il pensiero e riuscire a manipolare la parola è strumento di potere. Ma, fra il dire ed il fare, c’è di mezzo … la trasmissione dei valori, il patrimonio culturale, i modelli di riferimento, tutti aspetti che comportano il rigetto dell’imposizione e radicalizzano lo scontro tra chi pretende di imporre, magari cancellando il passato, e chi vede un’evoluzione del linguaggio in accordo all’evoluzione del contesto, senza strappi.
Non si tiene conto che tutte queste parole, nuove, incomprensibili vengono imposte dall’alto e non fanno parte del linguaggio comune che è possibile raccogliere nei focus group. Si tratta di una enorme differenza perché le parole nella popolazione evolvono ad una velocità impressionante. Ad esempio i tedeschi hanno introdotto nel loro lessico più di 1200 nuove parole durante la pandemia. Oltre al distanziamento sociale, il matrimonio a distanza, il distanziamento della birra, il corona party, la mutazione beta (Sudafricana), il ragazzo boomerang (ovvero il giovane adulto che rientra nella famiglia dei genitori dopo un certo periodo di tempo a causa del coronavirus), l’Istituto Leibniz per la lingua tedesca ha individuato altre nuove parole tedesche: Chi è stanco della malattia soffre di coronamüde. C’è anche l’impfneid: il sentimento di invidia che prova il vaccinato. Geisterveranstaltung indica invece la creazione di eventi senza la presenza del pubblico. Il neologismo più tremendo è l’incubo da corona (Coronaalbtraum) ovvero l’unità di terapia intensiva piena e lunghe code davanti ai centri sanitari. Con ospedali da campo che ora vengono ricostruiti dai militari. Con alberghi che si stanno trasformando in ospedali ausiliari. E con le grida disperate di aiuto di medici e infermieri che lavorano fino allo sfinimento e avvertono del collasso del sistema sanitario.
Qui è possibile visualizzare l’elenco completo delle nuove parole https://www.ids-mannheim.de/neologismen-in-der-coronapandemie/
Oltre ai prodotti di largo consumo i focus group iniziarono ad influenzare anche la politica fornendo elementi per i dibattiti politici (che alla fine determinano quale tipo di società possiamo avere). Ad esempio il partito laburista britannico dette già nell’immediato dopoguerra un incarico ad alcuni ricercatori per capire perché così tanti elettori della classe operaia stavano diventando conservatori. cercando una risposta definitiva a questo quesito, come l’uovo suggerito da Dichter.
Al giorno d’oggi i candidati e i partiti politici si affidano agli spin doctor e monitorizzano il proprio consenso attraverso i sondaggi di opinione che mancano quasi sempre irrimediabilmente dell’elemento qualitativo che informa sul perché delle scelte degli elettori. https://www.freniricerchedimarketing.com/lemotivita-e-il-potere-persuasivo-della-comunicazione-politica/
La maggior parte dei politici non ha alcuna idea di come pensa e vive la maggioranza delle persone (e paradossalmente anche i loro elettori). I politici, ma in generale l’élite, non conoscono persone diverse da loro, vivono in quartieri elitari e hanno valori e abitudini diverse rispetto la maggioranza e non sono minimamente in contatto con la realtà. Pensano di avere tutte le risposte alla domanda che viene dal corpo elettorale perché si ritengono professionisti della politica. Ma quando è stata l’ultima volta che sono andati a fare acquisti nei centri commerciali fuori dai loro quartieri? Conoscono forse il prezzo del latte e del pane? Sanno quanto costa un pasto fuori dalla buvette del parlamento? Si sono mai fermati ad ascoltare, senza farsi riconoscere, quello che la gente dice al mercato o nei bar del loro partito o delle scelte che vengono fatte contro la volontà popolare che loro pensano di rispettare. Ecco, penso che ci siamo capiti: l’enorme divario nella mentalità e nell’esperienza quotidiana tra la persona media e l’élite è il motivo per cui devono esistere i focus group o quantomeno essere consapevoli che esiste un modo per capire come realmente la gente pensa.
A Firenze è abbastanza nota la storia della “castagna” che riassume il concetto dell’importanza dell’ascolto. Ferdinando I de’ Medici aveva commissionato al Giambologna una statua equestre per celebrare le gesta del padre Cosimo I, Granduca di Firenze. Si racconta che il Giambologna, quando fu tolto il tendaggio dell’imponente opera, fosse nascosto dietro la palizzata intorno al basamento per ascoltare le voci del pubblico. Un contadino, pur apprezzando l’esecuzione del cavallo che “sembrava vivo“, fece però notare agli spettatori che al quadrupede mancavano le “castagne” (quelle placche callose a forma di castagna posta nella parte interna delle zampe anteriori dei cavalli). La critica era credibile ed il Giambologna fu ben lieto di perfezionare la sua opera inserendo successivamente all’opera le “castagne” mancanti.
E oggigiorno come funziona l’ascolto dell’opinione pubblica? Mi sembra interessante l’attività svolta dal sondaggista Frank Luntz che, oltre a lavorare per committenti istituzionali, è riuscito a trasformare i focus group in un format televisivo divertente nel “prendere la temperatura” a vari gruppi di americani “medi”.
“Io creo le mie parole prendendo le parole degli altri” afferma con l’orgoglio di chi ha moderato oltre 500 focus group in 5 anni (cento gruppi di focus all’anno).
Frank Luntz è consapevole che quello che la gente percepisce è l’unica vera realtà. “Noi non possiamo cambiare la realtà, ma possiamo usare parole che fanno sì che il nostro messaggio venga comunicato e percepito più vicino alla realtà dei fatti”.
Ovvero, in altre parole, se vuoi trasmettere un messaggio efficace, non sono le parole che trasmetti ma il modo in cui vengono percepite a fare la differenza.
Luntz è il sondaggista e divulgatore della frase la “tassa sulla morte”. Una frase che a suo avviso avrebbe suscitato il risentimento degli elettori in un modo molto più profondo che “tassa di successione”. Dopotutto, chi non sarebbe contrario a una “tassa sulla morte”?
Luntz è arrivato a raccomandare ai suoi committenti, in questo caso conservatori, di organizzare conferenze stampa “presso l’obitorio locale” per drammatizzare la questione. La forza del termine “tassa sulla morte”, emersa nei focus group è entrata a buon titolo nel lessico popolare (e a far imbestialire gli elettori verso chi la proponeva).
Luntz verifica continuamente nella conduzione dei focus le scelte di parole e frasi osservando la reazione dei partecipanti ai focus group. Il suo obiettivo è quello di far reagire il pubblico in base all’emozione. “L’80 percento della nostra vita è emozione e solo il 20 percento è razionalità. “Non c’è niente di sbagliato nelle emozioni. Quando siamo innamorati, non siamo razionali; siamo emotivi… il mio lavoro è cercare le parole che scatenano l’emozione. Sappiamo che le parole e le emozioni congiuntamente sono la forza più potente conosciuta dall’umanità”.
Su questa linea Luntz ha suggerito l’adozione del termine “esplorazione energetica” piuttosto che “trivellazioni petrolifere”, “cambiamento climatico”, più tenue rispetto al “riscaldamento globale”. Quando ti rivolgi agli anziani, suggerisce, usa l’espressione “tranquillità” piuttosto che “sicurezza” (questa viene associata a pericoli in agguato dai quali si ha bisogno di protezione, mentre il primo evoca assenza di paura).
Nel suo report “The Israel Project’s 2009 Global Language Dictionary” commissionatogli dal Governo Israeliano consigliava un linguaggio che avrebbe creato un’impressione più favorevole della politica israeliana nei confronti dell’opinione pubblica mondiale.
Beh, a questo punto spero solo che chi mi ha seguito fino a qui abbia afferrato interamente la forza atomica dei focus group nei confronti dei sondaggi quantitativi per penetrare nella mente del consumatore/elettore.
La giusta parola percepita come la più appropriata dall’interlocutore è come una freccia conficcata nella testa e per toglierla e sostituirla richiede tempo, pazienza e denaro.
Meglio tendere l’arco nella giusta direzione e per primi.
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