Ancor oggi la maggior parte delle aziende, italiane e non, non ricorrono alla ricerca di marketing e addirittura ne negano l’utilità. Certo, al loro interno dispongono spesso di un ufficio marketing (come attesta la targhetta sulla porta di ingresso) ma di regola l’operatività e le strategie vengono decise in assenza di qualsivoglia ricerca di marketing, confondendo il marketing con la comunicazione oppure con il commerciale o semplicemente appiattendosi sulle intuizioni di chi comanda in azienda.
Sarebbe il caso di ribadire come non possa esistere il marketing privato della ricerca di marketing. Definire una strategia di marketing senza la ricerca di marketing e la raccolta di dati di mercato può essere infatti altamente rischioso.
La raccolta di dati di mercato è fondamentali per comprendere il mercato, identificare le esigenze dei clienti, valutare i concorrenti e le tendenze del settore.
Senza queste informazioni, la strategia di marketing potrebbe essere basata su ipotesi errate, o su percezioni e/o pregiudizi personali, invece che su dati obiettivi.
Tutto chiaro … eppure…
Quello di cui voglio scrivere oggi, rivolgendomi ai miei fedeli lettori, riguarda invece il salvataggio negli anni ’60 dell’intera industria siderurgica statunitense per mezzo di una ricerca di marketing. Anzi per essere più precisi una serie integrata di ricerche, condotte da ricercatori motivazionali, utilizzate da consulenti di branding per la definizione delle strategie per rilanciare il mercato. (per approfondire la tecnica qualitativa per eccellenza del focus group vedi https://www.freniricerchedimarketing.com/larma-atomica-delle-ricerche-di-marketing-il-focus-group/ ).
Di queste ricerche, sul vissuto dell’acciaio, sulle aspettative degli utilizzatori, sulla comunicazione, sullo slogan da utilizzare e il marchio disegnato per il suo rilancio si è purtroppo persa la memoria, anche nei tomi di marketing universitari. Eppure il Case History sulla ricerca motivazionale, per i fantastici effetti conseguiti, mi sembra così rilevante da meritare di venire riproposto.
Nel 1945, l’industria siderurgica statunitense era il gigante incontrastato mondiale del settore con il 67% della ghisa e il 72% dell’acciaio prodotto globalmente.
In grazia dell’enorme impulso scaturito dai contratti governativi durante la guerra, “Big Steel” sembrava destinata a dominare la produzione mondiale di acciaio per tutti gli anni a venire.
La Corea del Nord, il Vietnam, la Guerra Fredda: tutto concorreva a spingere il grande business dell’industria siderurgica. Tuttavia, alla fine degli anni ‘50 le importazioni di acciaio per la prima volta superarono le esportazioni.
Non solo fu evidente la flessione drammatica della produzione dovuta alle importazioni di acciaio (che generarono furiosi disordini sindacali) ma anche dalla concorrenza di nuovi materiali, tra cui la plastica e l’alluminio che godevano di un’immagine più moderna, performante, pulita e leggera, anche perché supportata dai designer dell’arredamento e delle costruzioni del periodo.
All’alba degli anni Sessanta, l’industria siderurgica americana mostrava fatalmente la sua età.
La reputazione dell’acciaio era scesa ad un livello molto basso: l’acciaio era antiquato: pesante, sporco, incline alla ruggine.
Necessario, ma di sicuro non bello.
Semplicemente questa percezione che si era sedimentata presso il pubblico sull’obsolescenza dell’acciaio penalizzava il comparto.
Come uscire da questa difficile situazione?
La risposta fu ricorrere alle ricerche motivazionali che nel dopoguerra si andavano prepotentemente affermando per decifrare i bisogni dei consumatori. (Per apprezzare il contributo del padre della ricerca motivazionale, Ernest Dichter, vedi https://www.freniricerchedimarketing.com/il-mio-incontro-con-ernest-dichter-il-padre-della-ricerca-motivazionale/ )
I risultati di questi studi ridettero coraggio all’industria siderurgica, tradizionalmente restia all’innovazione, e che, per la prima volta, si era affacciata al mondo della ricerca.
Ecco, fu proprio così che l’acciaio riuscì a recuperare la sua reputazione.
Con il supporto dei più importanti consulenti del branding aziendale Big Steel iniziò a promuovere in modo aggressivo e energico la propria attività propettandola come esempio di industria lungimirante, e l’acciaio come materiale di eccellenza, scintillante leggero e in linea con la vita dei moderni consumatori.
Nel 1960, sulla base delle risultanze delle ricerche, per promuovere l’uso dell’acciaio nei prodotti di consumo e per migliorare la reputazione dell’industria siderurgica in generale, iniziò una grande campagna pubblicitaria. Anche il logo, così come lo slogan, furono, come si conviene quando ti rivolgi ad un pubblico di milioni di utenti, sottoposti ad una indagine qualitativa.
Lo Steelmark era un logo a forma di stella a quattro punte, che rappresentava la qualità, la resistenza, la facilità di pulizia, l’igiene e la longevità dell’acciaio. I tre ipocicloidi rappresentano i tre materiali utilizzati per produrre l’acciaio: giallo per il carbone, arancione per il minerale di ferro e blu per i rottami di acciaio.
L’emblema fu utilizzato trasversalmente in tutte le diverse iniziative di marketing di tutti i produttori, dagli annunci pubblicitari, alle etichette sui prodotti, nei cataloghi e nei packaging. Il logo nel tempo non ha subito praticamente modifiche grafiche e continua ancora oggi ad essere utilizzato nella sua forma originale.
Come si dice saggiamente: cavallo vincente non si cambia.
La campagna di comunicazione “Bagliore dell’acciaio inossidabile” che collegava l’uso dell’acciaio ad uno stile di vita moderno e alla moda, sottolineando in particolare l’aspetto estetico dell’acciaio inossidabile, evidenziandone il bagliore, ebbe un decisivo impatto sui consumatori, ricostituendo tutta l’immagine dell’industria siderurgica.
Attraverso l’impegno dei designer, l’acciaio, allontanandosi dall’immagine associata all’industria bellica e quella pesante, riuscì a riconfigurare la sua immagine pubblica e penetrò in nuovi settori del mercato di massa come l’arredamento, gli elettrodomestici, gli utensili da cucina, l’ambito medico-ospedaliero, l’architettura e l’industria automobilistica …
La campagna “Gleam of Stainless Steel” degli anni ‘60 costruita su una serie di ricerche di mercato qualitative che l’industria siderurgica aveva commissionato per comprendere meglio le esigenze e le preferenze dei consumatori, è stata quindi effettivamente una delle iniziative di marketing più importanti dell’industria americana, imponendo l’acciaio come la scelta ideale per una miriade di prodotti.
L’ufficio marketing della Big Steel, da allora, prosegue costantemente la sua attività di monitoraggio dell’opinione pubblica e emette previsioni per la domanda di acciaio e la tipologia sia a livello globale che negli Stati Uniti, inoltre tramite i suoi uffici di PR crea e promuove i messaggi chiave da veicolare nel settore dei media e dei social media.
In sintesi ed in soldoni, la campagna “Gleam of Stainless Steel” è stata un esempio fondamentale di come la ricerca di mercato e il marketing possono contribuire a migliorare la reputazione di un prodotto (se non di un’intera industria) e a rivitalizzarlo.
Forse, girando pagina, anche il settore del cemento con un vissuto, a nostro parere, troppo associato all’immagine negativa della cementizzazione (e alla “speculazione edilizia” tout court), avrebbe bisogno di una seria indagine motivazionale per la messa a punto di una campagna di comunicazione efficace:
https://www.freniricerchedimarketing.com/il-cemento-solo-questione-di-reputazione/.
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