Mia madre Jolanda, napoletana verace, nata e cresciuta nella zona di Villa Comunale, non ha mai voluto convertirsi all’italiano. Màmmema, parafrasando la Loren, diceva spesso, “Non sono italiana, sono napoletana! È un’altra cosa!”
Io, pur essendo cresciuto e vissuto a Firenze, sono divenuto, come amo dire scherzosamente, un bilingue pressoché perfetto ed ho avuto modo di conoscere ed apprezzare a fondo la lingua e la cultura napoletana.
Negli anni poi ho acquisito la consapevolezza che spesso i napoletani hanno, giocoforza, visto l’ambiente nel quale vivono e sopravvivono, una “marcia in più”.
D’altronde anche Johann Wolfgang Goethe nel suo “Viaggio in Italia” visse a Napoli le sensazioni più forti di tutto il suo viaggio: qui, disse, vive lo splendore artistico ed economico. Ed è qui che Goethe apprese l’importanza del vivere “spensierato” senza troppi turbamenti, apprezando le tradizioni della popolazione e l’importanza dei festeggiamenti: “i napoletani sono sempre pronti a festeggiare e a riempire le strade di musica e sfilate”.
Rimase profondamente colpito dall’amore che i napoletani hanno per la natura circostante, ed in particolare dal loro rapporto con il Vesuvio. Fu l’ascesa del Vesuvio l’eperienza che scosse maggiormente la mente dello scrittore: “Il vulcano emette un fumo denso, il suolo è nero e caldo e l’odore di zolfo fortissimo”. Questi aspetti apparirono all’autore del “Faust” la perfetta descrizione dell’inferno sulla terra.
Questa esperienza lo portò a considerare che i napoletani sono unici proprio perché sono nati nel punto preciso in cui la bellezza assoluta e l’orrore profondo si incontrano e convivono: “L’orrore è il contrario della bellezza, e la bellezza è il contrario dell’orrore”.
Goethe non poteva che sintetizzare la bellezza e le contraddizioni di Napoli nella sua famosa frase “vedi Napoli e poi muori”.
Ma Goethe non fu il solo uomo di lettere a lodare Napoli.
Charles Dickens la descrisse con queste parole “La città si sveglia di nuovo coi Pulcinella, i borsaioli, i comici e i mendicanti; con gli stracci, le marionette, i fiori, la vivacità,
la sporcizia e la universale degradazione; si risveglia sciorinando al sole il suo abito d’Arlecchino, l’indomani e tutti gli altri giorni, cantando e digiunando, danzando e giocando sulla riva del mare”.
Ancora più profondo e ovviamente fiabesco Hans Christian Andersen, “Quando sarò morto tornerò a Napoli a fare il fantasma, perché qui la notte è indicibilmente bella”.
Tutto questo per dire che Napoli era indiscutibilmente “o centro d’o munno“, sia in virtù della sua posizione geografica strategica nel Mediterraneo. che in senso metaforico, per indicare l’importanza e la centralità di Napoli nella storia, nella cultura e nell’immaginario collettivo, una città vibrante, colorata e piena di vita.
Alla fine del XIX secolo, Napoli era una città apprezzabile e ricca per molti aspetti. La città era un importante centro culturale, economico e commerciale, con una popolazione di oltre un milione di abitanti. Napoli era una delle principali città portuali del Mediterraneo, con un’intensa attività di importazione ed esportazione di merci tra Europa, Asia e Africa. Tuttavia, va anche sottolineato che, come molte città dell’epoca, Napoli aveva anche problemi sociali e economici, tra cui la povertà e la disuguaglianza sociale, nonché questioni legate alla criminalità organizzata.
Comunque allora Napoli era per tantissimi aspetti davvero il centro del mondo e non poteva mancare di essere all’avanguardia anche nei trasporti.
Fu anche per una questione di immagine turistica oltre che per funzionalità che venne costruita la prima funicolare, inaugurata nel 1880 ideata e realizzata per le ascensioni turistiche al cratere del Vesuvio.
La funicolare napoletana rappresentava un primato mondiale perché fu primo caso di risalita operante su un vulcano attivo https://www.vesuvioinrete.it/vesuvioinrete/la-funicolare-del-vesuvio-storia/.
Seguì poi l’altra funicolare che univa la collina di Montesanto al centro cittadino.
Ma, c’è sempre un ma nelle cose, i napoletani non si fidavano molto di questa innovazione e avevano paura di salire nelle carrozze; la funicolare rischiava di essere un fiasco commerciale. La società di gestione cercò un modo efficace per promuoverla e attirare i passeggeri. Serviva qualcosa per invertire la rotta e dare fiducia al nuovo mezzo, magari, per entrare in sintonia con il bel vivere dei napoletani, tramite una canzone scritta appositamente per promuovere la sicurezza e il fascino di una nuova mobilità.
Fu così che la società della funicolare si rivolse al compositore napoletano Luigi Denza e al poeta Giuseppe Turco.
Questi scrissero una canzone appositamente per la funicolare, utilizzando un linguaggio semplice e popolare e una melodia orecchiabile. La canzone non solo cambiò l’atteggiamento dei napoletani nei confronti della funicolare ma divenne subito un successo, prima a Napoli e poi anche in altre città italiane e all’estero.
Che ci crediate o no, “Funniculì Funiculà” rappresenta quindi un esempio pionieristico di jingle pubblicitario, in quanto venne scritto appositamente per promuovere un prodotto (la funicolare) e divenne un successo di massa.
La canzone, che celebra la bellezza e l’efficienza della funicolare, divenne molto popolare in Italia e all’estero, e contribuì a far conoscere la funicolare di Napoli a un pubblico, anche grazie all’emigrazione, ormai globale.
Pensa solo a questo: la canzone Funiculì venne presentata alla festa concorso di Piedigrotta e in un anno vendette oltre un milione di copie.
“Funiculì Funiculà”, divenuta molto popolare in Italia e all’estero, venne poi eseguita in molte versioni e arrangiamenti diversi. La melodia divenne così celebre che venne non solo inclusa in numerose raccolte di musica popolare italiana e internazionale, ma eseguita anche in contesti classici e operistici.
Fu suonata infatti da Johann Strauss che la inserì nella sua opera “Dall’Italia” e da Gustav Mahler.
Strauss credeva che si trattasse di un motivo tradizionale folcloristico da poter riadattare senza problemi all’interno della propria opera. Denza, prese la palla al balzo, gli fece causa e incassò facilmente i diritti d’autore.
Nel corso degli anni Funiculì Funiculà è stata interpretata da un numero impressionante di cantanti, tra i quali i grandi tenori Mario Lanza, Luciano Pavarotti, Andrea Bocelli, Beniamino Gigli, Giuseppe di Stefano, Tito Schipa ed Enrico Caruso, oltre a Claudio Villa, Massimo Ranieri…
Ancora oggi, la canzone è molto amata e viene spesso eseguita durante le feste e i festival napoletani.
Ci vorranno oltre 30 anni per poter ascoltare quello che erroneamente viene indicato nei sacri tomi del marketing come il primo Jingle pubblicitario (1926), quando la General Electric utilizzò la melodia “When You Hear the Bells of Westminster” in una pubblicità radiofonica.
E no, cari signori, mettiamo le cose in chiaro, il primato è tutto napoletano.
Tanto per capirsi nell’ambito del marketing e della pubblicità il termine “jingle” (deriva dal verbo inglese “to jingle”, che significa “tintinnare” o “fare rumore”) viene utilizzato per indicare una breve melodia o canzone utilizzata per promuovere un prodotto o un servizio.
A questo punto abbiamo accertato che il jingle, pur non figurando questa informazione nei trattati di marketing statunitensi, è semplicemente una scoperta della creatività del marketing, ante litteram, partenopeo. Solo dei napoletani, che appunto dispongono di una “marcia in più” potevano pensare che attraverso una composizione musicale, dotata di un ritornello orecchiabile e facile da ricordare, si potesse imprimere nella mente degli ascoltatori la fiducia e la sicurezza nel nuovo mezzo di trasporto.
Per dirla nel gergo calcistico: Marketing napoletano vs Marketing USA, 1 a 0.
Ieri sera, Annina, me ne salii,
tu sai dove?
Dove questo cuore ingrato non può farmi più dispetto
Dove il fuoco scotta, ma se fuggi
ti lascia stare!
E non ti corre appresso, non ti stanca,
a guardare in cielo!…
Andiamo su, andiamo andiamo,
funiculì, funiculà!
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