La pattumiera della verità, l’immondizia non mente mai
Come in tutte le storie, il modo migliore per raccontarla inizia proprio dal principio. Abbiamo già scritto della prima ricerca B2B effettuata da Parlin, vero ed unico padre della ricerca di marketing, come attestato in un articolo di Advertising Age del 1984.
Chiamiamola “𝐋𝐚 𝐩𝐚𝐭𝐭𝐮𝐦𝐢𝐞𝐫𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐕𝐞𝐫𝐢𝐭𝐚̀” perchè l’immondizia non mente mai.
Come in tutte le storie, il modo migliore per raccontarla inizia proprio dal principio.
Partiamo dalla prima ricerca B2B effettuata da Parlin, Charles Coolidge Parlin (1872 – 1942), vero ed unico padre della ricerca di marketing, come attestato in un articolo di Advertising Age del 1984.
Charles Parlin lavorava alla casa editrice Curtis quando si inventò una nuova attività, un’attività che fino ad allora non esisteva come professione e quindi non aveva neanche un nome. Parlin, provvisoriamente, la chiamò “ricerca commerciale”, per poi definirla, più pertinentemente, ricerca di mercato.
L’oggetto della prima indagine fu il mercato agricolo: la ricerca, la prima ricerca in assoluto, “indicava chi comprava, dove, e l’uso che faceva degli strumenti agricoli acquistati”. Seguirono poi altre ricerche di mercato sui grandi magazzini, sul futuro delle automobili e sugli acquisti degli americani.
Inizialmente quello di Palin era un dipartimento della Curtis Editore, solo successivamente divenne un istituto indipendente impegnato esclusivamente nella ricerca di marketing: Naxion, tuttora in attività, è stata quindi la prima (in ordine temporale) azienda di ricerche di marketing al mondo.(https://www.naxionthinking.com/ )
A Parlin dobbiamo anche lo sviluppo delle ricerche nell’ambito dei media. Parlin lavorava infatti alla divisione commerciale del dipartimento della pubblicità della Curtis Publishing Company e doveva vendere degli spazi pubblicitari del Saturday Evening Post alla Campbell Soup.
Ma Campbell era contrario a fare pubblicità su quel giornale, che aveva come target principale gli operai e le loro famiglie, convinto che non avrebbero mai utilizzato le sue zuppe pronte in scatola perché “piuttosto che pagare anche solo 10 cent, avrebbero pelato patate e carote”.
La sua radicata opinione era che solo le classi più agiate avrebbero preso in considerazione di sostenere il costo di una zuppa pronta.
Parlin aveva un’opinione molto diversa da quella di Joseph Campbell sulle esigenze delle classi popolari e si propose di dimostrare attraverso una ricerca sul campo la fallacità di questa argomentazione.
Elaborò quindi una precisa metodologia per dimostrare al potenziale inserzionista quale fosse l’effettivo target del prodotto.
L’originale idea di Parlin fu quella di costruire un campione rappresentativo delle diverse discariche dell’immondizia presenti a Filadelfia, facendo in modo che il contenuto di ogni carro della spazzatura, tracciato, fosse portato nell’ampio spazio dell’armeria della Guardia Nazionale locale, affittata proprio a questo scopo.
I vari mucchi di spazzatura venivano quindi etichettati a seconda della provenienza: aree di residenza delle classi più agiate in contrapposizione alle zone dove risiedevano i nuclei familiari dei lavoratori.
La scoperta, oggi si direbbe l’insight, fu che i ricchi praticamente non solo non acquistavano le zuppe in scatola ma, inoltre, non erano loro a prepararsi la zuppa; era la servitù che pelava patate e carote.
La maggior parte delle lattine di zuppa consumate proveniva quasi esclusivamente dalle aree dove risiedeva la classe operaia, che tra l’altro coincideva, a conferma dell’esattezza del target, con i lettori privilegiati del Saturday Evening Post.
Gli operai consumatori della zuppa della Campbell in questo modo risparmiavano del tempo, tempo che veniva utilizzato per altre operazioni a maggior valore aggiunto (farsi un vestito, riparare un mobiletto, etc…).
Nell’armeria della Guardia Nazionale figura tuttora una targa che ricorda questo fondamentale contributo di Parlin alla nascita della ricerca di mercato.
Anche oggi questa stessa tecnica, viene utilizzata nel mondo della ricerca: si chiama Dustbin Check (il controllo della pattumiera che consiste nel depositare i contenitori e le etichette dei prodotti acquistati in appositi contenitori che vengono successivamente raccolti da un istituto incaricato di effettuare la ricerca sui consumi).
𝐐𝐮𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐞𝐫𝐨 𝐫𝐚𝐠𝐚𝐳𝐳𝐨 𝐬𝐢 𝐠𝐢𝐨𝐜𝐚𝐯𝐚 𝐜𝐨𝐧 𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐦𝐢𝐜𝐢 – 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐬𝐢 𝐝𝐢𝐜𝐞 𝐚 𝐅𝐢𝐫𝐞𝐧𝐳𝐞 – 𝐚 “𝐭𝐚𝐩𝐩𝐢𝐧𝐢”.
Questi tappini non erano altro che i tappi delle bottiglie (allora rigorosamente in vetro) di birra, gazosa, Coca Cola, aranciata, etc, raccolti e collocati in scatole apposite da bar, ristoranti e alberghi. Passava poi un incaricato di un istituto di ricerca per procedere alla conta dei diversi tappini.
Era un modo semplice ed efficace di rilevare con precisione i consumi presso questi esercizi (altre rilevazioni venivano effettuate sulla spazzatura di casa per rilevare i consumi casalinghi, con il prelievo di sacchetti appositi).
La spazzatura, evitando di basarsi sulla memoria dei consumi degli intervistati, dice sempre la verità.
Il Dustbin Check rappresenta la maniera oggettiva per rilevare l’effettivo consumo dei prodotti di largo consumo confezionati. Le aziende possono conoscere solo i dati del sell-in e del sell-out (quello che le aziende vendono alla distribuzione e quello che la distribuzione vende al cliente finale), ma non l’effettivo consumo che potrebbe, forse, spingere al riacquisto.
Questo tipo di rilevazione prosegue ancora oggi reclutando delle famiglie campione, analizzando la spazzatura, contando i pacchetti di sigarette, latte, birra, etc.,. ma anche il cibo acquistato e non consumato, offrendo un’idea oggettiva del reale spreco alimentare.
Queste osservazioni possono correggere le quantità (sottostimate nelle vendite ufficiali) del reale consumo di sigarette ed alcol, così come i consumi che emergono dalle misure nelle acque reflue della quantità di metaboliti urinari delle varie droghe.
Le ricerche etnografiche
In apparenza (solo in apparenza) oggi la situazione si presenta molto diversa rispetto ad una volta. Le ricerche etnografiche oggigiorno si avvalgono di strumentazioni elettroniche, ma il principio rimane sempre lo stesso, così come l’oggettività di quanto viene rilevato.
Mi piace citare un esempio storico di queste ricerche etnografiche che ci permettono di capire come comunicare nel migliore dei modi, ad esempio, l’importanza del lavarsi le mani all’uscita di un bagno pubblico.
Viene collocato in un bagno pubblico del sapone liquido.
I ricercatori si limitano semplicemente a monitorare il peso del sapone non consumato dopo aver esposto i frequentatori a messaggi diversi per misurare quanto effettivamente ne sia stato utilizzato.
In un primo caso i frequentatori del bagno pubblico vengono esposti ad un’immagine di oggetti e persone sporche.
In un altro caso, figura un semplice messaggio informativo sulla necessità di lavarsi le mani. In altri casi, non figura alcun messaggio.
In quell’esperimento storico, solo il 30% degli uomini si era lavato le mani uscendo dal bagno, in contrapposizione al 65% delle donne.
Gli uomini erano stati maggiormente spinti a lavarsi le mani dopo l’esposizione alle immagini sgradevoli, mentre le donne si erano lavate le mani preferibilmente dopo essere state esposte ad un messaggio informativo sull’importanza dell’igiene personale.
È chiaro che a questo punto il comunicatore disponeva di un tool per calibrare con maggior precisione il messaggio per spingere i frequentatori del bagno pubblico ad una maggiore igiene personale.