Cercando di rimettere un po’ a posto le cose di casa, mi ritrovo tra le mani un visore di fotografie stereoscopiche, corredato naturalmente da un buon numero di immagini doppie che consentono la visione tridimensionale.
L’oggetto in questione risale ai primi del ‘900, l’epoca delle meraviglie per incantare.
Lo stereoscopico veniva venduto con delle immagini stereo, spesso semplici cartoline; alcune di queste immagini apparivano al tempo decisamente erotiche mostrando, ad esempio, delle donne in bagno completamente vestite che immergevano il piedino nudo in una bacinella d’acqua.
Un gesto d’altri tempi quando il feticcio per eccellenza era il piede nudo della donna e le sue scarpe.
Ci si potrebbe domandare come mai questo visore 3D non abbia commercialmente riscosso un franco successo.
Le difficoltà di questa tecnologia nell’affermarsi si sono confermate anche al cinema.
La grande industria dell’entertainment ha dovuto registrare una serie di flop nel cercare di innovare qualche cosa che era già nato praticamente perfetto, salvo il passaggio dal bianco e nero al colore, e quello dal muto al sonoro.
Per rendere più emozionante il film infatti furono implementati gli occhiali 3D. Molte furono le tecniche utilizzate a riguardo, ma in tutti i casi il flop, dopo un timido iniziale entusiasmo sorretto dai media, era inevitabile.
Si provò quindi con le sedie vibranti.
Il regista William Castle per il suo “Diabolic Force” (Il mostro di sangue) inventò un sistema chiamato Percepto che in determinati momenti della proiezione procurava, in sincronia con le scene, attraverso le poltrone elettrificate, lievi scosse in modo da far provare al pubblico le stesse emozioni del protagonista.
Cos’e pazz!
Diversa invece è stata la sperimentazione sul suono surround, che, attraverso anche le basse frequenze, trasmetteva comunque allo spettatore delle forti sensazioni, uditive e di vibrazioni tattili.
La tecnologia del suono avvolgente la dobbiamo ad una richiesta di Disney per il film musicale “Fantasia”, al fine di esaltarne la colonna sonora.
Walt Disney, il “papà” di Topolino, un rivoluzionario innovatore sul piano della tecnologia dell’animazione e della innovazione formale del linguaggio filmico, meno di un decennio prima era stato licenziato dal suo boss perché il giovane “mancava di buone idee”.
Ci fu poi chi aveva pensato ad una profonda esperienza immersiva nel cinema, tentando di inserire gli odori nella visione del film.
Durante l’Esposizione Universale di New York del 1939 venne presentato lo Scent-O-Vision, una macchina che vaporizzava gli odori per diffonderli in sala.
L’idea fu una catastrofe, non solo perché gli odori non apportavano ulteriore informazione alla trama del film, ma soprattutto perché la macchina era rumorosa e funzionava male nel convogliare gli odori nella sala.
L’idea di utilizzare gli odori (quando si è duri di comprendonio non c’è niente da fare) venne ripresa successivamente quando la televisione si impose catturando l’interesse degli spettatori che si recavano al cinema.
La Scent-O-Vision cambiò nome nella Smell-O-Vision, ma anche in questo caso fu un disastro.
Ci riprovarono successivamente con AromaRama, ma i critici unanimemente affermarono che invece di migliorare l’esperienza cinematografica, gli odori avevano fornito qualcosa di strano e sicuramente non interessante per la platea.
Evidentemente la lezione storica non era bastata e pur parlando del business dell’intrattenimento, uno dei più grandi della nostra epoca, non si era pensato a fare una piccola, modesta, rapida ricerca di marketing.
Le ricerche si fanno prima, talvolta anche dopo, ma una volta che si era verificato il primo flop, non si poteva non pensare a fare una verifica sul campo prima di mettere in piedi una produzione creata appositamente per promuovere gli odori nel cinema.
La scarsa accoglienza da parte del pubblico e la perdita al botteghino decretarono comunque la fine del progetto e, salvo esperienze artistiche, gli odori associati alle immagini non vennero più considerati.
La cinematografia era già nata adulta fin dalle sue origini e, salvo i miglioramenti tecnologici (alta definizione, sonorità e colori, digitalizzazione), non aveva necessità di offrire altro al suo pubblico per migliorare l’esperienza.