Facciamo chiarezza. Lo slogan “l’Amazzonia è il polmone del modo” che ritroviamo in tutta la comunicazione on e off line sulla grande foresta non è assolutamente veritiero e può servire a occultare i veri interessi geopolitici che si concentrano in questa parte del mondo.
Torniamo ancora una volta sulla brand-image del territorio amazzonico, di nuovo sotto i riflettori della stampa internazionale sia per la deforestazione selvaggia che, in particolare, per gli incendi di natura dolosa.
Per quanto riguarda la deforestazione ripetiamo che questa riguarda piuttosto l’ecosistema del Cerrado dove operano i grandi marchi multinazionali dell’agricoltura industriali Monsanto e Syngenta (con i semi transgenici) e Bayer (con i pesticidi), piuttosto che l’Amazzonia (vedi un nostro precedente articolo).
Il riferimento obbligato per la richiesta di interventi ed aiuti internazionali rimane comunque l’Amazzonia perché il brand Amazonia, ben più conosciuto rispetto al Cerrado, tira sempre alla grande, nonostante che le aree più a rischio in Brasile e nel mondo siano altre.
Non a caso per la protezione dell’Amazzonia, esistono in attività (dato aggiornato all’anno in corso) circa 100mila ONG (sì, avete letto bene: CENTOMILA), quasi tutte straniere, un numero superiore alla stessa presenza di indios.
Cioè, per ribadire il concetto, esistono più ONG che indios.
Il pay-off agganciato al brand Amazonia corrisponde al “polmone del mondo”: si vorrebbe far credere, nella narrazione dei media, che se brucia il polmone del mondo rimaniamo tutti senza ossigeno. Ovviamente è una favola.
Invece preservare e proteggere la grande foresta è fondamentale per i pochi indios rimasti e per il clima.
Le piogge tropicali influenzano il clima e le precipitazioni in altre regioni del globo (non per l’ossigeno che la vegetazione produce, altrimenti basterebbe riforestare altre aree del pianeta), come si può leggere qui.
Le stime variano, ma concordano nell’indicare che la quota di ossigeno fornita dall’Amazzonia all’atmosfera del pianeta è contenuta.
La grande foresta amazzonica infatti consuma quasi tutto l’ossigeno che produce (secondo gli scienziati, sono ambienti in climax ecologico: consumano tutto – o quasi – l’ossigeno che producono).
Il polmone del mondo è rappresentato invece dalle alghe, prive ahimè di attività di branding e comunicazione e di organizzazioni benefiche a sopporto, che immettono nell’atmosfera circa il 55% di tutto l’ossigeno prodotto.
Difendere l’Amazzonia è un’esigenza invece per difendere quello che resta delle popolazioni indigene arrestando le multinazionali che controllano l’intera catena della produzione del cibo e che possiedono le più grandi riserve d’acqua di qualità di superficie a livello planetario.
La disinformazione invece è funzionale agli interessi di chi si preoccupa del proprio ritorno economico.
“L’Amazzonia è il polmone del mondo”, “la nostra casa brucia” hanno twittato in questi giorni molte star hollywoodiane da Leonardo Di Caprio, al cantante Ricky Martin, al presidente francese Emmanuel Macron.
Affermazione scientificamente falsa.
Giusto sarebbe affermare di voler difendere dagli incendi e dalla predazione incontrollata l’Amazzonia usando il pay-off “AMAZZONIA, TERRA DEGLI INDIOS, SOLO DEGLI INDIOS”
Questi i dati oggettivi sulla Produzione di ossigeno nel mondo:
- Alghe: 54,7%
- Boschi e foreste: 24,9%
- Steppe, campi e pascoli: 9,1%
- Aree coltivate: 8,0%
- Alghe d’acqua dolce: 0,3%
Per ulteriori approfondimenti circa la produzione di ossigeno nell’atmosfera terrestre vedi questo articolo di National Geographic.