Rifletti, quanto vale il mio brand?
Un brand esprime non solo il posizionamento di un’azienda sul mercato (anzi sui diversi mercati), ma anche la sua reputazione ed i suoi valori.
“Se riesci a differenziare un pollo morto, puoi differenziare qualsiasi cosa”, affermò orgogliosamente Frank Perdue, fondatore della Perdue Farm. leader assoluto nelle vendite di pollame negli States a proposito della creazione del suo brand. Prima di lui non esisteva una “marca di pollo” riconoscibile e tra i polli, percepiti come una commodity non esisteva differenziazione alcuna.
Oggi che i marchi contraddistinguono tutto ciò che usiamo o indossiamo disporre di un solido brand non è semplice, ma può fare una grande differenza in come e quanto si riesce a vendere.
Disporre di un valido brand si traduce nella disponibilità dei clienti a riconoscere un premium price a quanto in vendita e ad acquisire nuovi acquirenti con uno impegno economico minore.
Si parla abitualmente della forza del brand, ovvero della forza espressa da un logo e dagli attributi che il consumatore associa alla sua identità. Nel mondo della finanza, il luogo dove per definizione “carta canta”, per forza del brand si intende la sua brand equity, ovvero il suo valore finanziario in quanto caratteristica del patrimonio aziendale.
Se un’azienda vuole vendere il suo brand, o uno dei brand dei suoi prodotti, o se qualche azienda vuole comprare un brand, sono indispensabili dei parametri che consentano di capire più o meno esattamente quale possa essere il suo valore di mercato.
Il valore del brand viene determinato, e misurato, sulla base dei risultati di vendita attribuibili unicamente all’utilizzo di quel brand (nome, grafica, payoff, colore…) apposto su un prodotto di una determinata category. La vendita di un brand, o la sua licenza d’uso, deve essere basata sul valore aggiunto determinato dal marchio (cioè questa è la base per la contrattazione tra le parti venditore e acquirente del brand). Esistono fin dagli anni ’90 diversi sistemi di valutazione oggettiva del valore attribuibile ad un brand. I principali sono quelli della Interbrand, della David Aaker e quello dell’agenzia Young & Rubicam.
Le variabili utilizzate nelle diverse indagini fanno riferimento alla notorietà e originalità riconosciuta al marchio nel suo mercato, oltre ai tratti di personalità, reputazione e posizionamento. Il sistema Aacker in particolare poggia sulla percezione di qualità da parte dell’user, sulla popolarità e sulle associazioni spontanee oltre ad altre misurazioni oggettive sulle dinamiche di mercato (quota di mercato, prezzo medio di vendita rispetto ai concorrenti e copertura della distribuzione).
Ma, ci sono delle regole base su come creare un marchio efficace? Eccole!
- Innanzitutto considera che il tuo logo deve durare per sempre (salvo i necessari restyling periodici che ne rafforzino il posizionamento in accordo allo spirito del tempo e alle attese dei clienti);
- Considera che le modifiche incrementali non devono mai compromettere la sua riconoscibilità e soprattutto la sua personalità;
- La parte testuale deve essere facile da leggere;
- Se disponi di uno slogan inseriscilo nel marchio. Mai utilizzare lo slogan privo del marchio;
- Il logo deve essere associabile al settore in cui operi. Se sei presente anche in altre nazioni assicurati che non sia in conflitto con la sensibilità e cultura locale;
- Il marchio deve essere applicabile in tutti i contesti e sfondi e impattante anche nella sua versione in bianco e nero;
- Il marchio deve essere ben distinguibile da quello dei concorrenti nella stessa category;
Ed infine ricorda che la prima cosa che si nota di un marchio è la forma, seguita dal colore ed infine dal nome. Dai quindi priorità a questi elementi in successione nella creazione del tuo marchio.
In conclusione, oggi non ci può essere nessun valido motivo che possa giustificare la rinuncia a fare branding in modo da aggiungere valore a quel che metti in vendita.