Ogni candidato che si voglia presentare agli elettori necessita di un “digest”, cioè un programma compresso al massimo, una specie di spremuta di programma politico (il fatto innegabile è che oggi le promesse politiche sono molto pochi quelli disposti a leggersele). Quello di cui il candidato abbisogna è quindi un programma politico “digerito” che possa rappresentarne il posizionamento agli occhi degli elettori. Una brochure breve, sintetica, completamente leggibile nel testo e nel contenuto, con immagini che catturano l’attenzione.
Se nessuno (o quasi) legge un programma politico, tutti potrebbero accettare di visionare una brochure confezionata secondo le regole della comunicazione pubblicitaria, naturalmente scaturita da un vero e proprio copy-test sulla comunicazione.
Quindi una brochure sintetica al massimo corredata di un testo perfettamente leggibile e di un contenuto di immagini che catturino l’attenzione. Sopratutto molti capoversi titolati con frasi emerse nel corso dei focus-group con gli elettori target, frasi semplici ed immediate. La brochure dovrebbe avere un formato standard, postalizzabile, con un peso entro la grammatura più conveniente (aspetti questi solo raramente osservati).
La foto del candidato (in gergo “il santino”), resta inevitabile (ma dovrebbe vedere il candidato in situazione piuttosto che in primo piano), dovrebbe comunque essere corredata dalle attività sportive e gli hobby nei quali il pubblico target si possa, per affinità, riconoscere. Mai scordarsi che viene votata una persona “viva”, reale, credibile nelle sue promesse e che porta avanti delle idee originali (aspetti da verificare nel corso delle indagini qualitative).
In questo senso la scelta del codice colore deve considerarsi fondamentale, allineata con la personalità del candidato, il tutto all’insegna della massima semplicità.
Al minimo invece lo spazio destinato agli obiettivi e alle indicazioni, in chiaro, per raggiungerli, il tutto all’insegna della semplicità.
Comunque si deve parlare del candidato piuttosto che del partito, in linea con l’avvento del “partito personale”. Giriamola così, tanto per afferrare il concetto: “uno per tutti, anche se non, tutti per uno”.