Dopo essersi masticato le mie ciabatte, o bucato il tappeto o mangiato i biscotti della colazione, al primo cenno di rimprovero mi disarma con la faccia del così detto cane bastonato (hangdog expression): mi presenta le sue scuse con lo sguardo afflitto, che evita di affrontare il mio, la postura bassa e la coda tra le gambe che sbatte sulla pancia.
Il messaggio dice semplicemente: “ho sbagliato; non lo faccio più, non ti arrabbiare”, obbligandoti alla carezza e al perdono incondizionato.
“Chi non ha avuto un cane non sa cosa significhi essere amato” ci ricorda Schopenhauer.
Il rapporto e la comunicazione uomo-cane è stata oggetto di molti studi ma solo chi ha come amico un cane può capire a fondo cosa intende comunicarti.
Il mio percorso di vita è stato affiancato da alcuni cani (che mi hanno addestrato a puntino) e posso assicurare che solo in parte i codici della comunicazione sono universali.
Ognuno di loro possedeva una decisa personalità e un proprio peculiare modo di comunicare.
Leggo adesso che i ricercatori della Yale University negli Stati Uniti hanno scoperto che non solo il padrone in carne ed ossa ma anche un robot, tra l’altro piccolo e non del tutto antropomorfo, è in grado di impartire dei comandi al cane.
L’ormai vecchio robot Nao (è nato nel 2008), con una voce umana ha impartito degli ordini a 34 cani, chiamandoli per nome e dicendo “seduto”.
Il 60% ha eseguito l’ordine ascoltando il piccolo robot. Uno potrebbe pensare che questo avviene perché l’animale riconosce un comando al quale è stato addestrato, ma non è così.
Infatti quando il comando “seduti!” veniva emesso dalla stessa voce robotica, però attraverso degli altoparlanti collocati nella stanza, la risposta è stata positiva solo nel 20% dei casi.
Qui puoi trovare la documentazione scientifica e il video nel quale si può osservare il comportamento dei cani.
Pertanto è possibile dedurre due cose.
In primo luogo, il comando vocale da solo non è sempre sufficiente per i cani per seguire l’ordine.
In secondo luogo, nel test, i cani hanno visto il robot non come un oggetto parlante, ma come un’autorità antropomorfa che impartisce degli ordini cui obbedire (quasi) al pari dei loro proprietari.
Da sempre i cani sono stati impiegati in esperimenti a partire dalla scoperta delle risposte condizionate individuate da Pavlov che hanno trovato largo impiego nella comunicazione pubblicitaria.
Pavlov dimostrò che la presenza di una scodella piena di cibo (lo stimolo) provocava una risposta incondizionata (la salivazione) e fin qui è semplice, nel senso che tutti i possessori di cani avrebbe potuto fare la stessa affermazione.
Pavlov aveva notato che i cani, come risposta appresa e condizionata, associavano il suo assistente di laboratorio al cibo. Progettò quindi un esperimento usando un campanellino come stimolo neutro.
Mentre dava da mangiare ai cani suonava un campanellino (stimolo doppio) e constatò che quando suonava il campanellino, anche in assenza del cibo, la salivazione dei cani aumentava.
L’associazione tra lo stimolo composito (il cibo associato al suono) e la risposta funzionava anche in assenza dell’elemento cibo. Il nuovo stimolo condizionato produceva cioè la stessa risposta.
Questo processo di apprendimento di chi viene sottoposto a degli stimoli richiede del tempo (la regola aurea è: ripetere, ripetere e ripetere) e non implica capacità di riflessione e consapevolezza, è un mero condizionamento.
Le applicazioni della scoperta di Pavlov al comportamento del consumatore/cittadino sono infinite, dalle risposte condizionate al vedere un logo o un prodotto (mannaggia, quando lo vedo mi viene sete), o un colore (l’emozione dei tifosi quanto vedono quello della propria squadra) alla lettura di determinate parole (gratis, sconto) all’ascolto di un suono, una musica (quel motivetto non me la tolgo più dalla testa) o un odore (il talco) che ti spinge nella dimensione esperienziale del neonato.
Gli investimenti pubblicitari e le ricerche di marketing sul Top Of Mind (la prima marca che viene in mente al consumatore di una certa classe di prodotti) certificano il condizionamento pavloviano dei consumatori (che peraltro si ritengono liberi nelle loro scelte).
Ma allora questo marketing funziona o non funziona?