Nei supermercati lo scaffale da sempre più sollecitato (non solo in continua espansione ma anche in perpetua ricomposizione) è quello del fresco, dove si affollano sempre nuove novità ansiose di rispondere ai nuovi orientamenti di consumo.
Mi era capitato qualche tempo fa di notare l’evoluzione di un’intera scaffalatura presidiata dall’offerta di una sola marca, leader nella IVª gamma: creme, minestre, zuppe, tutti piatti pronti (basta riscaldarli) a base di verdure. Un’offerta sintonizzata sulle tendenze vegane e vegetariane in atto, come sull’esigenza di un piatto già pronto, da portare soltanto a temperatura, senza bisogno di ulteriori preparazioni.
L’accoglienza da parte dei consumatori deve essere stata senz’altro positiva, perché l’offerta nei mesi successivi è andata continuamente ampliandosi, arricchendosi di nuove ricette e nuovi piatti.
Fino a quando… pochi giorni fa mi sono ritrovato di fronte ad uno scaffale completamente rivoluzionato, presidiato prevalentemente dall’offerta dei prodotti equivalenti a marchio dell’insegna del supermercato; al marchio originale era riservato uno modestissimo spazio, secondario e residuale.
In effetti ho potuto verificare che il prodotto a marchio del supermercato corrispondeva completamente a quello originale (stesso indirizzo del produttore, stesso contenitore con una grafica del packaging pulita ed essenziale) però “rimarcato” con il nome dell’insegna e con un prezzo lievemente inferiore, prezzo poi ulteriormente scontato del 30% per invogliare all’acquisto.
Il produttore originale che aveva saputo anticipare l’ampliamento del mercato, si era improvvisamente trovato nel ruolo di subfornitore. Attualmente la sua gamma di prodotti sembra restare marginalmente sugli scaffali solo per andare incontro a coloro che per qualche motivo ricercano il brand primigenio, oppure, opino, per evidenziare il vantaggio in termini di prezzo dello stesso prodotto a marchio del supermercato.
Verosimilmente a questo punto, per rimanere sullo scaffale ed essere competitivo sul prezzo, il prodotto brandizzato dovrà a sua volta procedere a degli sconti, ma questa è una tattica dal fiato corto.
Dal punto di vista del marketing si può dire che mentre l’azienda ampliava l’offerta e vedeva gonfiare le vendite, non era riuscita a rafforzare adeguatamente la propria immagine di marca nei confronti del consumatore finale, esponendosi alla concorrenza del ben più forte distributore. Paradossalmente, più la domanda da parte del pubblico aumentava, maggiore era l’interesse del distributore a cannibalizzare l’intera category.
Il produttore, che non disponeva ancora di un’immagine di marca sufficientemente consolidata presso il consumatore (unica protezione nei confronti della competizione di mercato), è stato scippato della sua posizione di leadership dal distributore, che lo ha trasformato in terzista: “da oggi in poi per rimanere in esposizione continuerete a produrre per noi le stesse cose ma con il marchio del supermercato”. Il produttore non avrebbe avuto alternativa, ormai la battaglia per la conquista dello scaffale era persa.
A questo punto, l’insegna ha cannibalizzato sul piano commerciale l’apporto di innovazione creato dal prodotto “originale. In prospettiva, il supermercato potrà esercitare quando lo riterrà un’ulteriore pressione sul produttore, ormai trasformato in un terzista, trattandolo come un qualsiasi altro fornitore, intercambiabile, magari solo sulla base della scontistica offerta.
Retrospettivamente, piuttosto che impegnarsi sull’ampliamento della produzione (visto che il mercato tira alla grande), sarebbe stato consigliabile periodicamente eseguire un’analisi SWOT della propria marca, per poi investire massicciamente nel rafforzamento della brand equity.
All’inizio degli anni ’90, per disaccordi sugli sconti e sulla disposizione dei prodotti sugli scaffali si verificò un braccio di ferro commerciale tra Barilla e Esselunga che tolse tutte le referenze di Barilla dai suoi supermercati. Ma il brand Barilla, forte come non mai (anche a seguito del lancio di Mulino Bianco), godeva di una fortissima richiesta da parte dei consumatori ed Esselunga ritornò sui propri passi restituendo il (meritato) spazio a tutti i prodotti Barilla.
La forza del brand, la notorietà, il posizionamento e le strategie di marketing non sono parole vuote, evidentemente servono (certo, solo se le sai usare!) altrimenti “se non è zuppa è pan bagnato”.