A noi toscani lontani da casa il nostro pane artigianale ci manca, il pane toscano appunto, così perfetto per la fettunta. Nonostante questo attaccamento, anche dalle nostre parti si assiste alla diffusione del pane industriale già affettato e imbustato, un pane che cresce con incrementi a due cifre. Un pane morbido, contraddistinto (come esige il marketing) da un elevato contenuto di servizio, (ad esempio, pronto per i tramezzini) . Il pan carrè ha tracciato la strada per tutta una serie di prodotti da forno che vanno ad erodere le quote del pane artigianale. Nelle nazioni anglofone, così come in molte altre nazioni dove la presenza della Grande Distribuzione è importante, il pane a fette copre ormai la stragrande maggioranza dei consumi.
All’inizio del secolo scorso Otto Frederick Rochwedder mise a punto una macchina per affettare il pane e in pochi anni nelle case degli americani il pan carrè non mancava mai. Per migliorarne le performance degustative e conferirgli una parvenza di freschezza e croccantezza, furono successivamente creati i tostapane. La standardizzazione delle misure delle fette di pane, resero questo piccolo elettrodomestico un elemento indispensabile in cucina che poi nella sua evoluzione tecnica col termostato, evitava di bruciacchiare le fette di pane.
Assistiamo adesso ad un percorso inverso. Il marketing della nostalgia sta già riproponendo il concetto di un punto vendita del fornaio all’interno della grande distribuzione, anche con l’offerta di pane simil-artigianale di vario tipo e provenienza, spesso precotto e congelato, venduto come appena sfornato e confezionato.
Ma, ahimè, in buona parte proveniente dai paesi dell’Est, Romania in testa.