Mi è capitato di ascoltare un recentissimo intervento di Mark Zuckerberg nel quale ha delineato una nuova frontiera della pubblicità su Facebook: un modello totalmente automatizzato in cui all’inserzionista basterà indicare il budget e il prodotto. Sarà l’intelligenza artificiale a occuparsi di tutto il resto: analisi del mercato, target, messaggi, creatività, tempistiche, distribuzione. Un’evoluzione radicale che promette efficienza, ma che solleva domande fondamentali per chi da anni studia il comportamento del consumatore.
Dal punto di vista quantitativo, è difficile negare l’efficacia dell’AI. Le piattaforme digitali raccolgono miliardi di segnali comportamentali in tempo reale, profilano l’utenza con estrema precisione e ottimizzano in modo dinamico le campagne. Ma è proprio questa perfezione algoritmica che rischia di farci dimenticare l’imperfezione creativa e motivazionale dell’essere umano.
Già negli anni ’40, Ernest Dichter, psicoanalista austriaco emigrato negli Stati Uniti, rivoluzionò il modo di intendere il marketing. Fu tra i primi a dire che i consumatori non comprano prodotti, ma comprano simboli. Non un’auto, ma la libertà. Non un sapone, ma la purezza morale. Applicando il metodo qualitativo delle interviste in profondità e delle tecniche proiettive, Dichter fondò la scuola della ricerca motivazionale, oggi considerata una pietra miliare del marketing moderno. Se vuoi saperne di più clicca sulla mia intervista impossibile a Dichter https://www.freniricerchedimarketing.com/il-mio-incontro-con-ernest-dichter-il-padre-della-ricerca-motivazionale/
L’approccio di Dichter non era solo narrativo: era predittivo. Capiva che, per cogliere le vere motivazioni d’acquisto, serviva andare oltre i dati e oltre le risposte razionali. Serviva ascoltare interpretare e poi ancora ascoltare e comprendere l’inconscio sociale. Un’intuizione che resta valida ancora oggi, forse più che mai.
La ricerca qualitativa — quella seria, condotta da persone con esperienza sul campo, sensibili alle sfumature culturali e simboliche — continua a essere insostituibile. Essa evolve con l’uomo, ne segue i cambiamenti linguistici, valoriali, persino contraddittori. L’AI può dirci chi compra cosa, ma molto raramente ci dirà perché. E quando il “perché” manca, anche la comunicazione più intelligente rischia di restare sterile.
Zuckerberg ha precisato che si potrà comunque ricorrere alle agenzie pubblicitarie tradizionali. Ma se queste si limiteranno a vestire i dati generati dalle AI, senza interrogarsi sulle motivazioni profonde, il risultato sarà un marketing piatto, privo di anima, replicabile all’infinito e dimenticato in fretta.
E se, alla fine, la campagna non funziona? Di chi è la colpa? Se l’umanità è stata messa da parte, il creativo non c’è, il messaggio e il target pure, il cliente ha solo cliccato “vai”… beh, allora non resta che prendersela con l’intelligenza artificiale. O con Zuckerberg. Ma lui, nel frattempo, sarà già introvabile nel metaverso.