Chi conosce tutte le risposte, non si è fatto tutte le domande
“E la Rana si gonfia e gonfia e gonfia infin che scoppia come una vescica” (La Fontaine)
La democrazia digitale degli incompetenti ha generato paradossalmente dei supercompetenti, degli espertoni in tutti i settori dello scibile umano. Oggi gli amici del bar d’angolo, abbandonato momentaneamente il calcio, sono diventati competenti virologi e politologi (solo poco tempo prima erano diventati esperti in ponti autostradali). Sono inoltre ferratissimi nella scienza economica; soprattutto il loro amatissimo cavallo di battaglia è rappresentato dal cambiamento climatico e dall’effetto serra (con tutto quello che ne consegue, dall’impronta ecologica all’innalzamento dei mari fino alle auto elettriche).
I nostri superesperti tuttologi, anche quando di prima mattina privi di ogni competenza su un determinato argomento, nel primo pomeriggio si impegnano non solo a pontificare appassionatamente ma perfino a criticare con arroganza i professionisti che operano da decenni in quel determinato settore.
Incapaci di distinguere fra opinioni e fatti, i nostri, navigando in rete, sposano la tesi nella quale più facilmente si riconoscono acriticamente sulla base di un’estrema semplificazione delle informazioni che le renda più digeribili, spendibili e attraenti. La terra è piatta? Quanti bambini sono morti per avere indossato la mascherina? Un ratto gigante (2 metri) sbuca dalle fogne in Messico. Il petrolio è quasi esaurito! E poi ci sarebbe da parlare del complottismo del 5G, delle scie chimiche, dei no vax.., tutte notizie acchiappaclick (a Firenze si dice acchiappacitrulli), che arrivano a tributare onore a “il lercio” come notiziario attendibile.
Nel mondo supercomplesso in cui viviamo i vuoti di informazione sono all’ordine del giorno ed in qualche modo tutti noi dobbiamo riempirli per non rimanere indietro, facendo propria la prima informazione offerta dalla nostra fonte privilegiata di informazioni. Che sia vera o falsa poco importa, non merita neppure una riflessione, perché questa diventa subito vera e la difenderemo a denti stretti anche, e soprattutto, contro l’evidenza.
È consolidato che quando non conosciamo un argomento, per non farci sentire impreparati, tendiamo a riempire questo vuoto con la prima informazione che ci aggrada, magari controcorrente, per farla propria. A questo punto ci esponiamo volentieri a tutto ciò che in quella scelta ci conforta. Poi vedendo che non siamo soli in questa opinione/illusione, tutto improvvisamente diventa perfettamente vero. La menzogna diventa mito e il mito diventa difficile da smontare.
Altro esempio: nelle diverse indagini demoscopiche l’80% dei conducenti si ritiene un guidatore migliore della media (statisticamente un paradosso). Se così fosse, non ci sarebbero così tanti incidenti stradali nel mondo! Se tutti usassero al meglio le proprie competenze in campo automobilistico il traffico dovrebbe essere sicuramente migliore… Questa sarebbe la conseguenza più logica!
Un comportamento sociale così diffuso non poteva non essere oggetto di uno studio scientifico. David Dunning e Justin Kruger hanno appunto analizzato sperimentalmente la competenza di molte persone, finendo con il constatare che, paradossalmente, proprio i soggetti che si ritenevano più competenti erano quelli che esibivano minore competenza!
L’effetto Dunning-Kruger (ormai giustamente classificato con i nomi dei 2 scienziati) è definito come “un pregiudizio cognitivo per cui le persone con meno conoscenze su un argomento sovrastimano le loro abilità in quell’argomento”.
È a causa dell’effetto Dunning-Kruger che, ad esempio, una persona che canta male, ma pensa di cantare bene, resta estremamente delusa quando non viene accettata a partecipare ad un concorso canoro e arriva persino ad offendere la giuria. Questa persona non riconosce la competenza della giuria a valutarla e rifiuta gli errori che le vengono segnalati.
Questo è il meccanismo distorsivo, da cui ci si salva solo approfondendo e studiando un particolare argomento. Man mano che si diventa più competenti cresce infatti la consapevolezza dei propri limiti.
Ma andiamo all’origine delle cose.

MrArthur Wheeler durante la rapina
Tutto lo studio di Dunning e Kruger prese le mosse dalla vicenda di McArthur Wheeler (Incredulous Wheeler come scrissero i giornali dell’epoca) che dopo aver effettuato una rapina a viso scoperto (un assalto alla banca videoregistrato) e arrestato poco dopo, pronunciò la frase, che in seguito divenne nota nel campo degli studi comportamentali: “Ma io mi ero cosparso il viso di succo di limone”.
Ebbene, il nostro rapinatore ricordava di aver letto, probabilmente sul “piccolo chimico”, che il limone ha una caratteristica speciale, è un inchiostro invisibile, solo il calore lo rende di nuovo visibile.
Il furfantello, applicando la proprietà transitiva (era o no uno studioso?) era certo che il succo di limone cosparso sul viso l’avrebbe reso invisibile alle telecamere di sorveglianza. D’altronde, per confermare la sua teoria, prima della rapina, si era fatto una foto con una Polaroid dopo essersi cosparso il viso con il limone. Ahimè, aveva fotografato erroneamente il soffitto bianco, ma ormai era convinto: era davvero invisibile. In un solo giorno rapinò due banche, senza mascherarsi il viso. Poche ore dopo, nonostante la sua incredulità di essere stato scoperto, era già stato arrestato.

l’Apple Newton, 1993
Ma torniamo alla nostra attualità, al marketing e alle difficoltà nel lancio di nuovi prodotti.
I fallimenti dei prodotti immessi sul mercato corrispondono alla quasi totalità ma incredibilmente non se ne parla (comunque non abbastanza), mentre i pochi successi vengono esaltati e figurano nei case-study della letteratura business.
L’imprenditore svedese Samuel West aveva provato a raccontare i fallimenti dei prodotti dando vita al “Museo dei Fallimenti”, uno spazio museale dedicato a prodotti e invenzioni che avevano fatto flop spettacolari subito dopo essere stati immessi sul mercato. Un grande progetto per imparare dai fallimenti, piuttosto che dai successi.
Ma, ironia della sorte, anche il Museo dei Fallimenti ha fatto rapidamente bancarotta.
L’esposizione comprendeva oltre 100 fallimenti, ben descritti, tra i quali citiamo: il website creato da Amazon per la prenotazione degli hotel (sei mesi di vita), il Sony Google TV Remote, l’Apple Newton, i Google Glass, le Patatine Pringle senza grassi, il profumo Harley Davidson, e le penne BIC dedicate al segmento femminile.
Ci piace anche ricordare la Crystal Pepsi (la Pepsi resa trasparente come l’acqua) che, pur sostenuta da una campagna pubblicitaria senza precedenti, durò sugli scaffali solo poche settimane. E ci sarebbero anche le Lasagne Colgate, di cui abbiamo già parlato.

Google Glass
Con il senno di poi, è facile vedere e capire il motivo del flop, ma molte dinamiche che hanno portato al fallimento sono possibili da prevedere già da subito.
Prendiamo il caso dell’innovazione dei beni di largo consumo presenti nella GDO, dove in pochi anni il panorama si è fatto sempre più affollato con le varianti delle innumerevoli marche alle quali si aggiungono le varianti delle marche dei distributori.
È cosa nota che, in relazione alla category, oltre l’80-90% dei nuovi prodotti esposti sugli scaffali (che hanno quindi già passato vari filtri) sopravvivono, nel migliore dei casi, solo qualche mese.
Altrettanto nota è l’unica opportunità che ha un nuovo prodotto per essere scelto: riuscire a farsi notare prima del prodotto che il consumatore acquista abitualmente (la fedeltà di marca è lo scoglio più duro da affrontare per evitare un rapido delisting).
Ovvio che quando si fallisce nella capacità di attrarre l’attenzione del consumatore, le possibilità di riuscita sono zero. Aggiungiamo che se il lancio riguarda un prodotto che ridefinisce una nuova category, dobbiamo essere consapevoli di un ulteriore handicap.
Eppure. Eppure la strada delle vendite è costellata di clamorosi errori che il buonsenso già evidenzierebbe. Che fare allora? Una modesta proposta!
Per non incappare in un clamoroso insuccesso si dovrebbe andare sul punto vendita, monitorare il prodotto e, dopo aver osservato il cliente nel suo approccio di scelta, intervistarlo in loco e chiarire tutti gli aspetti che hanno determinato la sua valutazione e il perché della preferenza.
Ora chissà perché non si procede con questa logica!