C’era una volta, nel XVII secolo, un uomo che non si accontentava di essere un semplice truffatore. No, Joseph Savary voleva essere il Michelangelo della falsificazione, il Leonardo da Vinci del raggiro. E così, armato di un talento per l’inganno e di una zecca clandestina, iniziò a produrre luigini falsi, quelle piccole monete d’argento che le donne dell’Impero Ottomano adoravano trasformare in collane e monili. I luigini prodotti dal nostro Savary presentavano una continua riduzione del contenuto d’argento, che alla fine era diventato un velo di placcatura. I luigini venivano venduti e convertiti in moneta sonante, come si suol dire quando la moneta suona nel modo giusto.
La domanda di luigini era così alta che persino i mercanti più colti e sofisticati d’Europa si fecero abbindolare. “Questi luigini sono meravigliosi!” dicevano, mentre riempivano le loro borse di monete che brillavano come l’argento, ma valevano molto meno degli originali. Savary, nel frattempo, se la rideva e incassava. Ma, come tutti i giochi, quando vanno per le lunghe, finiscono.
E così finì. Gli Ottomani, trovandosi sommersi da queste monete fasulle, iniziarono a parlare di una nuova Lepanto, non la disastrosa battaglia navale per loro, ma una guerra economica contro l’Europa. Era come se un’intera economia fosse stata costruita su un castello di sabbia.
Ma la vera ironia? Molti di coloro che si fecero truffare erano uomini d’affari che si vantavano della loro astuzia. Eppure, caddero come mosche di fronte al genio di Savary.
Se Savary inondò l’Impero ottomano di monete fasulle, Icilio Federico Joni ha fatto lo stesso con i musei di tutto il mondo, riempiendoli di opere contraffatte con una maestria tale da ingannare persino gli esperti più blasonati (vedi il mio https://www.freniricerchedimarketing.com/quando-il-falso-diventa-vero/).
Se le donne ottomane si adornavano di luigini falsi, i collezionisti e i curatori d’arte si vantavano di possedere capolavori che, in realtà, erano il frutto dell’abilità di Joni e della sua “Accademia del falso” in combutta con il critico d’arte Barenson.
Joni, con il suo talento nel replicare le tecniche dei maestri senesi, dimostrò che l’arte della truffa può essere più sofisticata dell’arte stessa. E, proprio come Savary, ha saputo sfruttare la crescente domanda di opere da esibire.
Si potrebbe proprio dire che la truffa diventa arte e l’arte diventa truffa. Insomma, l’arte della truffa è altrettanto sofisticata quanto l’arte stessa! I truffatori psicologici sono veri maestri nel manipolare le persone, sfruttando vulnerabilità emotive e cognitive. Questi signori si presentano come esperti o figure di riferimento e, grazie alla fiducia che il truffato ripone in loro, riescono a ottenere ciò che vogliono. Lo stesso fenomeno si può notare in ambito politico quando il candidato di turno promette e viene creduto, anche se poi non realizzerà nulla di quello che ha promesso, e il ciclo continua. Le promesse vuote sono un classico della manipolazione psicologica e il loro fascino risiede proprio nella capacità di alimentare aspettative irrealistiche.
I manipolatori, che siano venditori o politici in cerca di voti, sanno sfruttare abilmente il desiderio umano di credere. In ambito politico, il meccanismo è quasi teatrale: il candidato di turno dipinge un quadro idilliaco, promettendo cambiamenti radicali e soluzioni miracolose. Gli elettori, spinti dalla speranza (spesso dalla disperazione), si aggrappano a queste promesse come naufraghi a una zattera. E quando le promesse non vengono mantenute? Per un po’ ci rimangono male, ma poi il ciclo si ripete, perché la memoria collettiva tende a dimenticare e il desiderio di credere nuovamente (vedi https://shorturl.at/fpk5k )