La letteratura di marketing è gonfia di storie di successo, un successo che può essere improvviso, imprevedibile e almeno apparentemente inevitabile, quando un concetto innovativo ed inatteso travolge il mercato. Questo fu il caso del Cubo di Rubik, quasi 40 anni fa.
I casi di successo sono ovunque. Siamo circondati da situazioni di grande affermazione di pittori, artisti, cantanti, politici, scrittori, così come di prodotti di largo consumo.
Certo sono storie belle, da raccontare e da ascoltare, giustamente portate ad esempio, certamente contengono una lezione importante, certamente sono istruttive, ma l’amara verità è che i fiaschi lo sono ancora di più, anche perché sono molto più frequenti; per uno che si afferma, infatti, centinaia se non migliaia rimangono al palo o floppano clamorosamente.
Vale la pena rammentare qualche caso, tenendo presente che anche le storie di maggiore successo sono a volte costellate di fallimenti.
Se oggi la quotazione in borsa di Apple è astronomica, la sua storia è stata piena di alti e bassi fenomenali.
Se Apple II (nato, si sa, in un garage) fece di Apple una protagonista dell’ informatica personale, Apple III nulla potette contro il PC di IBM e Microsoft.
Seguirono il fallimento di Lisa (proposto al modico prezzo di 9.995$) ed il lancio dalle sue ceneri del primo Mac.
I manager delle grandi aziende spesso tendono a sovrastimare le possibilità di successo e lanciano sul mercato prodotti che dopo pochi mesi, dopo aver investito cifre colossali per figurare sullo scaffale, per le promoter, per la pubblicità e gli eventi, …. vengono seppelliti nel grande cimitero dei fallimenti.
La diffusione di libri, video, articoli, redazionali, pubblicità, etc.. che esaltano il successo di pochi, creano delle attese eccessive dovute ad errori cognitivi da parte dei manager e, nella maggior parte, si risolvono in clamorosi fiaschi.
È pur vero che in alcuni casi ci sono degli analisti che cercano di capire i motivi del fallimento comparandoli ad altri fallimenti per cercarne le cause comuni.
Il problema consiste nel fatto che nessuna azienda scrive in prima persona, indicando le ragioni del proprio fallimento.
Men che meno supportandolo con dati, investimenti, ricerche effettuate e flusso delle decisioni interne che hanno portato al disastro. Preferisce piano piano farlo scomparire nell’oblio.
Anche i grandi possono fallire; sono forse proprio la forza e la notorietà che inducono a sopravvalutare la propria capacità di imporre una novità al mercato (che non intende accogliere quell’innovazione).
Qualche anno fa, ad esempio, General Motors presentò in pompa magna il Segway, un veicolo elettrico a 2 ruote tenuto in equilibrio da un sistema di giroscopi, che si guida inclinando il manubrio, pensando che avrebbe rivoluzionato tutto il sistema del trasporto urbano.
Il Segway in realtà si è affermata soprattutto sui campi di golf, in alcuni percorsi turistici e nelle stazioni ferroviarie. Non molto.
Difficile però trovare le parole adatte per un’innovazione quali le lasagne al ragù surgelate prodotte dalla Colgate negli anni Ottanta, se non il gelato della Marlboro.
Cos ’e pazz!
Sarebbe interessante capire come queste aziende, di rilevanza mondiale, abbiano potuto anche solo concepire prodotti del genere, commettendo errori che neppure, non dico un manager, ma un consumatore accorto avrebbe potuto immaginare.
Chi ha avuto il coraggio di firmare e di dare il via a un progetto del genere?
Quale istituto – se mai vi è stato – ha realizzato un test di prodotto, di estensione di linea con esito positivo?
Quale testolina pensante ha dato incarico di realizzare un simile packaging?
Quale agenzia di comunicazione può avere accettato un incarico siffatto?
Questo post in effetti è stato pensato in riferimento alla raccolta di fiaschi del lancio di nuovi prodotti presenti nel “percorso espositivo” denominato Museum of Failure, (Museo del Fallimento) aperto da qualche tempo ad Helsinore in Svezia, una collezione di progetti, prodotti e servizi della nostra epoca che si sono rivelati clamorosi flop.
A proposito di flop, ecco alcuni prodotti fallimentari ideati da McDonald’s.
Una visita al cimitero virtuale di questi elefanti invisibili per ammirarne le ossa e compatirne l’ingiusto destino è certamente utile ed istruttiva.