Cin Cin, dimmi cosa bevi e ti dirò chi sei
Scivolando dalla bordolese allo champagne, questo è un tipo di vino dalla storia molto più corta, solo 300 anni rispetto agli 8mila del vino, anche se, in termini di marketing, molto più intensa.
E dire che il vino frizzante che veniva dalla regione dello Champagne era un vino di basso costo e di scarsa diffusione proprio per le bollicine le quali erano percepite come un difetto che lo mettevano in una situazione di inferiorità nel confronto con il vino di qualità di Bordeaux.
In pochi decenni si è passati da un vino frizzante di bassa qualità allo spumante assunto quale simbolo stesso delle commemorazioni.
La storia inizia – e non potrebbe essere diversamente – nella regione dello Champagne, cioè in latino “terre di pianura”, campagna.
Il vino, portato dai romani, era solo per un consumo interno, l’economia della regione si basava essenzialmente sulla produzione di lana.
A seguito delle crociate, in cui molti viticoltori morirono, le terre divennero proprietà della Chiesa e furono proprio i frati a perfezionare il vino, entrando in competizione con i vini della Borgogna.
A quel tempo lo Champagne fermentava erraticamente, senza una regola fissa, a seconda della concentrazione degli zuccheri e della temperatura.
Ma al passaggio dal freddo inverno alla primavera faceva fermentare così tanto il vino che alcune bottiglie esplodevano, addirittura entrando in cantina era necessario indossare delle maschere di ferro per proteggesi il volto.
Fu il monaco Dom Perignon che, sperimentando varie combinazioni di vino e selezionando le uve migliori, perfezionò la metodologia.
Nella leggenda Dom Pier Perignon figura come l’inventore dello champagne e il marketing naturalmente se ne è appropriato creando una storia di autenticità e storicità del prodotto contrapposta alla sua industrializzazione.
A quel tempo erano gli inglesi, che adoravano le bollicine, ad acquistare i vini della Champagne e fu proprio lo scienziato inglese Merret a scoprire come lo zucchero modificasse l’effervescenza: poco zucchero = poche bollicine; molto zucchero e la bottiglia esplodeva, e quindi realizzò una bottiglia – e relativo tappo – in grado di reggere alla enorme pressione.
A quel punto il prodotto, per dirla in termini di marketing, la prima delle 4P, era perfezionato.
Il lavoro sul marketing mix ha predisposto l’associazione dello champagne con le celebrazioni, la festa e le occasioni più importanti, assicurando la sua presenza nelle vetrine internazionali più prestigiose.
Nelle incoronazioni reali, così come nel varo delle navi o nelle vittorie agonistiche, lo spumante era sempre presente.
Gli altri elementi del marketing-mix coinvolti furono la pubblicità (anche Toulose-Lutrec si cimentò nelle illustrazioni del vino frizzante) e la comunicazione sul prodotto (etichette meravigliose, simboleggianti il lusso) fino alla variante rosé.
Si trattava quindi di definire il prezzo.
Già, ma perché lo champagne è così caro?
In proposito ci risponde il sociologo Veblen con la sua teoria (purtroppo, ho sempre constatato, non approfondita quanto si dovrebbe nei testi universitari di marketing), che afferma, tra l’altro, più o meno, quanto segue: i prodotti percepiti come di lusso diventano più conosciuti con l’aumento del prezzo di vendita; i ricchi, quelli che possono spendere a spandere, godono nell’esser osservati mentre consumano o usano prodotti costosi.
L’aumento di prezzo pertanto comporta l’aumento della domanda dei prodotti extralusso, perché diventa un bene da ostentare.
Molto diverso il pricing dei prodotti di largo consumo perché in questo caso quando il prezzo aumenta, la domanda si riduce.
Un ulteriore elemento della promozione di marketing dello champagne è il portato di seduzione.
Avete presente quando l’agente speciale al servizio di sua maestà britannica Bond … James Bond, degusta con la splendida protagonista femminile una bottiglia di Champagne Bollinger?
Bond si trova a Venezia ed entrando in albergo vede la bottiglia di Champagne e da esperto raffinato esclama: “If it’s ’69 you were expecting me!”.
Un product placement clamoroso, ma non certo l’unico, che portò alla produzione de La Grande Annèe James Bond.
E poi, diciamo la verità, in un incontro amoroso, l’ambiente ma anche il cibo afrodisiaco fa la sua parte. Impossibile non associare alla magia onirica dell’incontro amoroso, ostriche crude e champagne.
Ma poi il marketing ha segmentato il gusto, dall’extra-brut, che contiene pochissimi grammi di zucchero, al dolce (oltre 50 gr di zucchero) passando per il sec (dai 17 ai 32 grammi).
Poi sono arrivati gli interventi sul formato, principalmente 750 ml, e magnum da 1,5 litri (utile per i festeggiamenti in cui gli ospiti vengono bagnati dalle bollicine dorate – a questo punto Freud avrebbe di che argomentare sui simbolismi erotici associati allo Champagne).
Inizialmente lo champagne era destinato al dessert piuttosto che ad annaffiare il pasto e quindi era particolarmente carico di zuccheri.
Gli inglesi lo preferivano con pochissimo zucchero. Gli americani un po’ più zuccheroso mentre i russi si attenevano ad una presenza zuccherina tra i 200 e i 300 grammi, anche perché era abitudine nazionale aggiungere zucchero anche al vino.
La versione inglese con ridotta quantità di zucchero comunque divenne lo standard per la commercializzazione, anche perché gli inglesi erano i grandi consumatori e si doveva quindi andare incontro al loro gusto.
La storia dello champagne rappresenta un interessante case study.
Andando ai fondamentali, costatiamo che il management non si è limitato ad impreziosire e migliorare l’appeal del prodotto attraverso la formulazione ed il packaging ma ha seguito una strategia ben precisa di pricing, distribuzione e comunicazione.
Questo percorso virtuoso purtroppo non viene considerato da una importante quota delle PMI nazionali impegnate nel food; una volta realizzato il packaging ritenendo di aver fatto il massimo per promuovere le vendite, senza altre considerazioni strategiche, queste rimangono in attesa di risultati che raramente arrivano.
Una comunicazione particolarmente impattante quella dello Champagne, a partire dal product placement e la didattica sulla degustazione che ha dato vita alla figura del vero fine intenditore per cui l’effervescenza diventa perlage, il mosto ottenuto dalla prima spremitura diventa cuvée, l’annata millesime.
Un posizionamento ambito che associa lo champagne alla “sensualité et raffinement” dei brand globali e prestigiosi che presidiano il segmento luxury, un Cross Category Marketing tra brand e brand (Chanel, Ferrrari, Armani… e tra celebrity e brand (James Bond, Richard Gere, Brad Pitt …).
Et voilà, le juex du marketing sont faits!