La Nigeria è ormai la seconda industria cinematografica più grande del mondo, superando Hollywood e a ridosso di Bollywood (la produzione cinematografica indiana).
Non solo la Nigeria ha superato gli Stati Uniti nel volume di produzione, ma sta espandendo il suo dominio cinematografico al Mozambico e al Senegal.
Oggi Nollywood, secondo un rapporto della PricewaterhouseCoopers, produce in media 50 titoli a settimana, realizzati da quasi 300 produttori indipendenti.
Non stiamo naturalmente parlando di volumi d’affari (un solo film USA, nel confronto, costa ed incassa al botteghino cifre astronomiche), ma semplicemente di volume di produzione.
I film di Nollywood vengono realizzati in meno di due mesi, con dei budget talmente bassi, 15.000 dollari, che i cineasti di altri paesi non riuscirebbero minimamente a contemplarle nei loro costi di progetto.
Il segreto dei costi così bassi è associabile alle scene piene di lunghi dialoghi, che rendono i costi di produzione particolarmente economici, e all’assenza di effetti spettacolari, espedienti che servono a nascondere l’inconsistenza della trama.
Tutto nacque dal film “Living in bondage” (Vivere in Schiavitù), film “impegnato” che riuscì a vendere mezzo milione di copie in poche settimane.
Il successo di questo film dette origine alla nuova industria cinematografica nigeriana, che in breve attrasse i più grandi nomi del cinema franco-africano, tra l’altro blasonati vincitori del Festival del cinema di Cannes.
Business chiama business, chissà che la Nigeria non riesca ad attrarre anche importanti budget della cinematografia occidentale e si impegni nella produzione delocalizzata di video pubblicitari low-cost.