La scelta del testimonial è una delle decisioni più strategiche nel marketing e nella pubblicità. Un volto scelto accuratamente può fare la differenza tra una campagna che cattura il pubblico e una che passa inosservata.
Anche se non esiste una correlazione scientifica tra i tratti somatici e le caratteristiche psicologiche o morali, il marketing sfrutta i bias cognitivi, ossia scorciatoie mentali innate, per influenzare le percezioni e le emozioni del pubblico.
Gli esseri umani hanno sviluppato, nel corso dell’evoluzione, la capacità di interpretare rapidamente i volti per identificare rapidamente uno stato emotivo (felicità, paura, rabbia) per reagire in modo appropriato come riconoscere persone familiari che fanno parte del nostro repertorio di stereotipi.
i sostenitori della fisiognomica ritenevano e ritengono che le caratteristiche fisiche riflettessero la mente e l’anima delle persone. Lombroso fu uno di questi così come lo furono Darwin e Lavater. Ovviamente stiamo parlando di una pseudoscienza ma comunque tutti noi inconsciamente associamo alle caratteristiche fisiche, specie del volto, aspetti comportamentali.
Questi processi innati influenzano le nostre decisioni specie in ambito pubblicitario. I volti dei testimonial attivano risposte inconsce, generando fiducia, identificazione o desiderio.
𝐑𝐢𝐜𝐨𝐫𝐝𝐨 𝐪𝐮𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐟𝐢𝐧 𝐝𝐚𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐧𝐧𝐢 ‘𝟕𝟎 𝐥𝐞 𝐚𝐠𝐞𝐧𝐳𝐢𝐞 𝐝𝐢 𝐩𝐮𝐛𝐛𝐥𝐢𝐜𝐢𝐭𝐚̀ dovevano scegliere un testimonial (un medico, un esperto di cucina, una semplice casalinga, un elettricista…) per promuovere dei prodotti sottoponevano ad un panel di potenziali utilizzatori una serie di personaggi per individuare quello che maggiormente veniva associato al testimonial perfetto. Le pubblicità godevano quindi di una marcia in più (e funzionava alla grande) perchè il soggetto prescelto rappresentava l’archetipo ideale del testimonial.
Questa metodica, storicamente rilevante, veniva indicata nei libri di marketing come “test di Szondi”.
Oggi questo test è in disuso (totalmente dimenticato o mai studiato) e ci si affida al pubblicitario che non sempre è in grado di rappresentare l’opinione di un panel di utilizzatori ma semplicemente la sua selezione. Il metodo si ispirava, anche se in modo indiretto, al principio del Test di Szondi e la reazione istintiva e inconscia dei consumatori al volto del testimonial veniva considerata un indicatore affidabile delle emozioni evocate da quel volto. Sicuramente il test di Szondi funzionava anche perché a distanza di 70/80 anni i brand affermatisi storicamente continuano a goderne. I volti scelti riflettevano non l’opinione soggettiva di un pubblicitario spesso lontano dall’essere utilizzatore, ma quella del target stesso. Questo garantiva una elevata affinità e identificazione del pubblico con il testimonial.
Oggi, tramite l’informatica e l’IA tornare a coinvolgere direttamente i consumatori nella scelta dei testimonial sarebbe molto più semplice ed economico e potrebbe riportare maggiore credibilità e autenticità alla pubblicità e alla comunicazione in genere specie in settori che richiedono alta fiducia (es. farmaceutico, alimentare, comportamenti virtusi reali, politica).
La pubblicità moderna (talvola tragicamente demenziale) spesso sacrifica il collegamento emotivo autentico a favore di un’estetica o di una visione creativa che non sempre rispecchia il pubblico.
Anche se non è ancora del tutto chiaro (molte le ricerche che vengono condotte a riguardo es: Little e Perrett hanno anche trovato un legame tra aspetto facciale e personalità vedi ( British Journal of Psychology http://dx.doi.org/10.1348/000712606X109648 ) perché esprimiamo giudizi così facilmente e rapidamente solo osservando un volto. Possiamo dire che probabilmente esiste un vantaggio evolutivo nel giudicare i volti, le locandine dei film e i libri dalle loro copertine.
E’ probabile che l’evoluzione ci abbia affinato per cogliere i segnali.
Chiaro, non c’è scienza dietro l’idea che il volto rifletta il carattere di una persona (𝐯𝐚𝐝𝐞 𝐫𝐞𝐭𝐫𝐨 Lombroso), ma c’è molta scienza di marketing dietro il funzionamento dei nostri bias cognitivi e il modo in cui le immagini influenzano le nostre emozioni e decisioni.
Basta ritornare ai fondamentali puntando sul ritorno di Szondi, la nuova frontiera del neuromarketing.