A noi toscani lontani da casa il nostro pane artigianale ci manca, il pane toscano appunto, così perfetto per la fettunta.
Quel pane sciocco, senza sale, che si sposa perfettamente con l’olio nuovo, l’aglio e i salumi saporiti. Nonostante questo attaccamento alle tradizioni, anche in Toscana, come altrove, il consumo di pane artigianale sta cedendo terreno alla diffusione del pane industriale spesso già affettato e imbustato. Un prodotto che cresce sul mercato con incrementi a due cifre, grazie alla sua praticità e al trattamento di marketing che ne esalta il cosiddetto “elevato contenuto di servizio”, ovvero la comodità d’uso, rendendolo ideale per tramezzini e toast (forma perfetta, mordibo al punto giusto, lunga durata di vita, busta in plastica richiudibile…). In definitiva, per un toscano, un pane che di pane ha solo una lontana apparenza.

Il pan carré ha aperto la strada a un’intera categoria di prodotti da forno che, lentamente ma inesorabilmente, stanno erodendo il mercato del pane artigianale. Se nelle nazioni anglofone il pane in cassetta è ormai il re incontrastato della tavola quotidiana, anche in Italia questa tendenza sta prendendo piede, cambiando le nostre abitudini alimentari.
Anche i panifici ormai non esistono (quasi) più. Io ne conosco un paio a Firenze di quelli realmente artigianali ma per il resto, da quando hanno abolito la tabella VIII per la vendita di alimenti (mercato liberalizzato, ci raccontano), sono solo rivendite di pane che acquistano centinaia di prodotti diversi su catalogo .
Li riconosci a colpo d’occhio: arredo di legno spartano, moltissimi articoli in vendita, da tutti i tipi di schiacciata alle paste per la colazione e filoncini ben lontani dalla tradizione toscana. Soprattutto noiamo l’assenza del laboratorio sul retro o, nel caso di ex-veri-panifici, laboratori disattivati. Rivendere il pane prodotto industrialmente da terzi rende di più e elimina la fatica del panettiere.
Eppure, il pane affettato non è una novità. Già all’inizio del secolo scorso, Otto Frederick Rohwedder rivoluzionò il consumo di pane con l’invenzione di una macchina per affettarlo in modo preciso e uniforme. Il successo fu immediato: negli Stati Uniti il pan carré divenne un alimento base e, per migliorarne la degustazione, si diffuse il tostapane che rispettava le misure standard del pane a fette. Questo piccolo elettrodomestico, con l’evoluzione del termostato, evitava di bruciacchiare le fette, garantendo una tostatura perfetta e rendendo il pane industriale più croccante, bello alla vista e appetibile.
𝐂𝐡𝐢 𝐬𝐟𝐨𝐫𝐧𝐚 𝐝𝐚𝐯𝐯𝐞𝐫𝐨 𝐢𝐥 𝐩𝐚𝐧𝐞 𝐧𝐞𝐢 𝐬𝐮𝐩𝐞𝐫𝐦𝐞𝐫𝐜𝐚𝐭𝐢 𝐞 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐫𝐢𝐯𝐞𝐧𝐝𝐢𝐭𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐩𝐚𝐧𝐞 (𝐩𝐥𝐞𝐚𝐬𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐜𝐡𝐢𝐚𝐦𝐢𝐚𝐦𝐨𝐥𝐢 𝐩𝐚𝐧𝐢𝐟𝐢𝐜𝐢)? 𝐐𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐥𝐚 𝐯𝐞𝐫𝐢𝐭𝐚̀ 𝐬𝐮𝐢 𝐩𝐫𝐨𝐝𝐨𝐭𝐭𝐢 “𝐟𝐫𝐞𝐬𝐜𝐡𝐢”
Oggi, però, assistiamo a un fenomeno inverso. Il “marketing della nostalgia” sta riportando in auge il concetto del fornaio all’interno della grande distribuzione. Supermercati e ipermercati propongono sempre più spesso prodotti simil-artigianali, spesso precotti e congelati solo da mettere in forno, per dare l’illusione del pane appena sfornato. Un tentativo di riconquistare chi cerca sapori autentici, ma con il compromesso della grande produzione. Se hai nostato anche nei bar la pasticceria, ad iniziare dal delizioso cornetto alla crema, altro non è che un prodotto è surgelato e standardizzato (mordilo dopo che si è raffreddato vedrai che è più simile alla gomma che al cornetto.
Ma torniamo al pane
Il problema? Molto di questo pane non viene sfornato dietro il banco del supermercato, né tantomeno in un forno locale. Gran parte proviene dall’Europa dell’Est, con la Romania in testa come principale esportatore. Un pane che viaggia per centinaia di chilometri prima di arrivare sulle nostre tavole, spesso senza che il consumatore ne sia realmente consapevole o avvertito. Determinare con precisione la quantità di pane importato in Italia è complesso, poiché le statistiche ufficiali spesso non distinguono tra pane finito e materie prime come il grano. Tuttavia, (disponiamo solo di questi dati) nel 2022, le importazioni agroalimentari italiane hanno raggiunto un nuovo record, con un valore di circa 63 miliardi di euro, registrando un aumento di quasi il 30% rispetto al 2021.
Per quanto riguarda il grano tenero, fondamentale per la produzione di pane, l’Italia ha un grado di autoapprovvigionamento del 36%, 𝐢𝐥 𝐜𝐡𝐞 𝐢𝐦𝐩𝐥𝐢𝐜𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐢𝐥 𝐫𝐞𝐬𝐭𝐚𝐧𝐭𝐞 𝟔𝟒% 𝐯𝐢𝐞𝐧𝐞 𝐢𝐦𝐩𝐨𝐫𝐭𝐚𝐭𝐨.
Sebbene non siano disponibili dati specifici sulla quantità esatta di pane finito importato, è evidente che una parte significativa del pane consumato in Italia proviene da altri paesi, soprattutto sotto forma di prodotti precotti o congelati, successivamente cotti e venduti come freschi nei punti vendita.
La domanda resta aperta: torneremo davvero al pane artigianale o sarà solo un’illusione ben confezionata dall’industria?
Comunque ora capisci perché il pane toscano è unico e perché mi manca così tanto!
