“𝑳𝒂 𝒓𝒂𝒈𝒂𝒛𝒛𝒂 𝒅𝒊 𝑰𝒑𝒂𝒏𝒆𝒎𝒂 𝒆̀ 𝒍𝒂 𝒄𝒐𝒔𝒂 𝒑𝒊𝒖̀ 𝒃𝒆𝒍𝒍𝒂 𝒄𝒉𝒆 𝒂𝒃𝒃𝒊𝒂 𝒎𝒂𝒊 𝒗𝒊𝒔𝒕𝒐 𝒑𝒂𝒔𝒔𝒂𝒓𝒆”, così cantava il padre della Bossa Nova.
Sono già sei anni che João Gilberto ci ha lasciati, portando con sé quell’aura di mistero e genialità che lo ha sempre contraddistinto. Eppure, bastarono appena ventidue minuti di musica suonata da “Joazinho” per cambiare per sempre la storia della musica brasiliana.
Dalla spiaggia di Ipanema al mondo, la poesia della Bossa Nova dilagò in ogni dove.
Con Chega de Saudade (Basta con la nostalgia), João Gilberto diede vita a un nuovo linguaggio musicale, fondendo il samba con le raffinatezze armoniche del jazz. Il ritmo della sua chitarra, con quegli inediti accenti sincopati, creò la base perfetta per i versi poetici di Vinicius de Moraes, dando vita alla Bossa Nova. Una rivoluzione sonora che trasformò il Brasile in un riferimento mondiale per la musica di qualità.
Non tutti sanno che Chega de Saudade nacque inizialmente come un brano per pianoforte, scritto da Tom Jobim. Ma fu João, con la sua chitarra, a reinventarlo, alterandone gli accordi e le suddivisioni ritmiche, conferendo alla melodia un’intimità dolce e malinconica. Il suo modo di cantare, con quella voce sussurrata e piena di sfumature, dava risalto alle parole cariche di emozione e tenerezza, spesso punteggiate dai diminutivi affettuosi tipici del portoghese brasiliano.
Il risultato? Una musica che negli anni ’60 conquistò il mondo, trovando seguaci in ogni angolo del globo: dall’Italia, dove artisti come Ornella Vanoni, Sergio Endrigo e Fred Bongusto ne furono affascinati, fino agli Stati Uniti, dove persino Frank Sinatra non poté resistere al fascino della Bossa Nova.
𝐂𝐨𝐧𝐟𝐞𝐬𝐬𝐨, 𝐢𝐥 𝐦𝐢𝐨 𝐟𝐮 𝐮𝐧 𝐚𝐦𝐨𝐫𝐞 𝐚 𝐩𝐫𝐢𝐦𝐨 𝐫𝐢𝐭𝐦𝐨.
Eppure, oggi, quando chiedo ai giovani quale sia il loro genere musicale preferito, nessuno cita mai la Bossa Nova. È un peccato, perché questa musica ha saputo raccontare i sogni, le passioni e la libertà della donna con una delicatezza unica.
Ma forse non c’è da stupirsi. Anche Beethoven è spesso assente nelle loro risposte.
Valeu, João.