L’abitudine di sorridere nelle immagini si è diffusa per la prima volta nella storia dell’umanità nel XX secolo, al punto che oggi è raro vedere un ritratto in cui la persona non sorrida. Ed è grazie alla fotografia che abbiamo imparato a ridere e sorridere nelle immagini.
Da quando è stata inventata la fotografia abbiamo assistito ad un’esplosione di sorrisi. Il sorriso fotografico non solo è recente, ma è una consuetudine piuttosto artificiale, una modalità espressiva incoraggiata dall’industria fotografica e connessa alla forzata imposizione dell’allegria come rappresentazione di situazioni felici da mostrare e da ricordare.
I vecchi ritratti (non solo quelli fotografici) raramente, direi quasi mai, mostravano personaggi sorridenti. Nel corso del secolo scorso il sorriso e il riso hanno sostituito la gravità come emozione predefinita per la fotografia e per la ritrattistica in generale. In precedenza venivano raffigurati solo volti solenni.
I codici di etichetta del passato richiedevano che la bocca fosse attentamente controllata, anche perché gli standard della bellezza dell’epoca prevedevano, specie alle signore, una bocca più piccola e raffinata possibile.
Inoltre, i ritratti erano spesso commissionati da persone potenti o ricche, che volevano essere rappresentate in modo dignitoso e autorevole. Un sorriso poteva essere visto come un segno di frivolezza o mancanza di gravitas. Nell’arte occidentale, sorridere apertamente poteva anche essere associato a comportamenti sconvenienti, alla follia o persino alla derisione.
Per quanto a me noto, conosco un solo ritratto di una persona apertamente sorridente nell’arte classica: l’ignoto marinaio di Antonello da Messina. Probabilmente ve ne sono altri, ma rimane il fatto che personaggi sorridenti nei quadri dei secoli scorsi sono estremamente rari.
Tornando agli albori della fotografia, visto che era necessario rimanere nella stessa posizione anche per alcuni minuti per dare alla fotocamera il tempo di registrare l’immagine, era più facile mantenere una faccia seria piuttosto che sorridente.
Proprio a questo riguardo, poiché scattare foto era costoso e veniva fatto solo poche volte nella vita, la situazione richiedeva una posizione seria se non austera; quella sarebbe stata infatti l’immagine con cui saresti ricordato in
futuro.
La parola magica per assumere la corretta espressione facciale all’epoca era “prunes” (“prugne”), che rimpiccioliva la bocca, stringeva le labbra ed eliminava qualsiasi parvenza di sorriso. Una rappresentazione di sé da tramandare ai posteri di tonalità allegra sarebbe stata considerata volgare o poco raffinata.
Si dovrà aspettare l’alba del nuovo secolo per passare da “prunes” (prugne) al “cheese” (formaggio), quando si scoprì che quando le persone dicevano “cheese”, tendevano a sorridere in modo più naturale. La consonante “s” finale nella parola allunga le labbra in una forma simile a un sorriso.
Nel XX secolo, con l’avvento della fotografia a pellicola e delle fotocamere portatili, scattare foto divenne più semplice e accessibile. Questo contribuì a rendere il sorriso un’espressione più comune nelle foto, sia per motivi personali che professionali. Quando le fotocamere diventarono più accessibili, le persone iniziarono a vederle come un modo per catturare momenti felici e gioiosi. I sorrisi iniziarono a comparire più spesso nelle foto, soprattutto nei ritratti di famiglia e di amici.
Ma, volendo dirla tutta, la presenza del sorriso nelle foto e la sua diffusione furono una conseguenza dell’attività di marketing della Kodak.
E ti pareva che non c’entrasse il marketing!
“You press the button, we do the rest” (“Tu premi il bottone, noi facciamo il resto”) era la promessa della Kodak che era riuscita a semplificare un prodotto complesso a favore delle masse. “L’unica fotocamera che tutti possono utilizzare senza istruzioni”.
Man mano che le fotocamere diventavano più accessibili nel prezzo, popolari e semplici da utilizzare, Kodak condusse, a livello mondiale, ulteriori campagne di marketing per associare la fotografia a qualcosa di piacevole, come vacanze ed eventi significativi nel ciclo della vita, mentre in parallelo si affermava la fotografia professionale per immortalare matrimoni, battesimi e compagnia cantante, sempre conditi con abbracci e sorrisi.
Lo slogan “Salva i tuoi momenti felici con Kodak” mostrava tipicamente una ragazza sorridente mentre tiene in mano una macchina fotografica portatile. La strategia della Kodak fu rivoluzionaria: trasformò la fotografia da un’arte tecnica e formale a un modo per celebrare la vita quotidiana e i momenti di gioia.
George Eastman, fondatore della Kodak, intuì chiaramente che per vendere fotocamere e pellicole doveva convincere le persone che la fotografia poteva catturare non solo l’immagine fisica, ma anche l’emozione del momento. Il sorriso divenne così il simbolo visivo di questa promessa.
Così il sorriso è diventato un modo naturale per esprimere questi sentimenti, anche quando le persone vengono fotografate in situazioni dove sarebbe inopportuno sorridere: guerre, terremoti, ospedali e funerali.
Questo il motivo per il quale, vedendo così tanti sorrisi nelle foto, ci siamo imposti di sorridere anche noi se veniamo fotografati o ci facciamo un selfie. Il fenomeno si è ulteriormente intensificato nell’era dei social media, dove l’immagine personale è diventata una forma di comunicazione quotidiana e il sorriso è spesso percepito come un requisito per l’accettazione sociale online.
Interessante notare che questa convenzione del sorriso non è universale in tutte le culture. In alcuni paesi, come la Russia o parti dell’Europa dell’Est, persisteva fino a poco tempo fa una tradizione di espressioni più neutre nelle fotografie formali, un retaggio culturale che sta progressivamente scomparendo sotto l’influenza della globalizzazione digitale.
Grazie al marketing della Kodak oggi è raro vedere un ritratto in cui la persona non sorrida.
“Guarda l’uccellino, cheese! Aspetta, ne scatto un’altra.”
“Perfetta, questa è venuta bene, proprio un bel sorriso!”
Aveva ragione da vendere Bob Marley: “La curva più bella di una donna è il suo sorriso.” Una frase che oggi, nell’era dell’immagine perenne, sembra quasi profetica.
In definitiva, ciò che diamo per scontato come un comportamento naturale – sorridere davanti all’obiettivo – è in realtà un fenomeno culturale relativamente recente, creato tanto dall’evoluzione tecnologica quanto da precise strategie di marketing che hanno cambiato per sempre il modo in cui ci rappresentiamo e ci ricordiamo.
Dai, forza, sorridi!
𝑄𝑢𝑒𝑠𝑡𝑜 𝑝𝑜𝑠𝑡 𝑡𝑖 𝑒̀ 𝑝𝑖𝑎𝑐𝑖𝑢𝑡𝑜? 𝐴𝑙𝑙𝑜𝑟𝑎 𝑐𝑜𝑚𝑚𝑒𝑛𝑡𝑎𝑙𝑜, 𝑐𝑜𝑛𝑑𝑖𝑣𝑖𝑑𝑖𝑙𝑜 𝑜 𝑚𝑒𝑡𝑡𝑖 𝑢𝑛 𝑙𝑖𝑘𝑒 𝑚𝑖 𝑚𝑜𝑡𝑖𝑣𝑒𝑟𝑎𝑖 𝑎 𝑠𝑐𝑟𝑖𝑣𝑒𝑟𝑒 𝑎𝑙𝑡𝑟𝑖 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑒𝑛𝑢𝑡𝑖 𝑠𝑢𝑙 𝑚𝑎𝑟𝑘𝑒𝑡𝑖𝑛𝑔, 𝑙𝑎 𝑟𝑖𝑐𝑒𝑟𝑐𝑎 𝑒 𝑙𝑎 𝑠𝑢𝑎 𝑠𝑡𝑜𝑟𝑖𝑎. 𝐺𝑟𝑎𝑧𝑖𝑒