Lo stereotipo che viene da lontano non solo continua a permanere ma sembra essere confermato anche dalla scienza: gli uomini continuano a preferire le bionde (studio della Augsburg University -Minnesota, pubblicato su Journal of Social Psychology).
Comunque perche’ non schiarirsi la chioma e vedere l’effetto che fa?
Bene, allora facciamo un passo indietro e iniziamo dalla umile e ripugnante urina trasformata dal protomarketing in un tesoro.
Chi avrebbe mai detto che l’umile urina avrebbe avuto un ruolo così rilevante nella protoindustria?
Tra il Medioevo e l’inizio dell’era moderna, l’urina era la star indiscussa di vari processi artigianali e industriali, dalla concia delle pelli alla produzione di tessuti, fino alla creazione del famoso “biondo veneziano.”
Eh si il “biondo veneziano” dei capelli delle donne più belle dell’epoca. Una variante di colorazione che ancora oggi mantiene l’origine del suo nome.
Uno degli usi più affascinanti e, diciamolo, bizzarri dell’urina era nella cura e colorazione dei capelli. A Venezia, le donne dell’aristocrazia sfoggiavano una chioma di un particolare biondo dorato, noto come “biondo veneziano,” considerato il massimo dell’eleganza e della bellezza femminile dell’epoca. E come ottenevano questa tonalità? Con una mistura a base di urina umana, ovviamente!

Ah, la scienza!
I capelli trattati con l’urina divennero presto un simbolo di lusso e status sociale (facendo lievitare il prezzo della materia prima).
L’uso dell’urina per ottenere il “biondo veneziano” è un esempio perfetto di come una pratica associata a una materia prima umile potesse acquisire un valore di lusso e status sociale. Le donne veneziane aristocratiche adottavano questa pratica perché il risultato, ovvero la particolare tonalità dorata, era considerato un simbolo di raffinatezza.
Questo fenomeno è un chiaro esempio di differenziazione del prodotto, un concetto centrale anche nel marketing moderno.
La comunicazione del prodotto finito (capelli biondi) implicava uno status esclusivo, anche se il metodo per ottenerlo (urina e sole) non veniva necessariamente discusso in termini espliciti nella comunicazione.
Il protomarketing di questo processo potrebbe essere stato facilitato dalla diffusione per imitazione all’interno delle classi alte.
La promozione avveniva attraverso l’osservazione e l’imitazione delle mode aristocratiche, dove le donne di altre città o corti europee cercavano di replicare il “biondo veneziano” per essere alla moda.
Il rapporto tra l’uso dell’urina nella protoindustria e il protomarketing risiede nella capacità di trasformare una risorsa umile e abbondante in prodotti di valore percepito più alto, spesso associati a lusso, qualità e innovazione.
Artigiani e mercanti, attraverso narrazioni implicite o esplicite, riuscivano a vendere questi prodotti in modo da rispondere ai desideri e alle aspirazioni dei consumatori del tempo, sfruttando sia il potere delle mode sia l’efficienza produttiva.
E poi si sa, come detto da Vespariano, Pecunia non olet.
Il famoso detto latino “Il denaro non ha odore” è particolarmente pertinente in questo contesto. Il detto si riferisce all’idea che, una volta trasformato in profitto, il denaro non porta con sé il “puzzo” o l’umiltà delle sue origini, che potrebbero essere considerate sgradevoli o volgari.
Anche se l’urina era vista come un materiale umile, associato a qualcosa di volgare o di scarto, il suo elevato valore derivava dai prodotti finali di qualità che permetteva di ottenere.
Sia nell’industria della concia, che nella tintura o nella produzione di detergenti, l’urina trasformava ciò che era considerato “spregevole” in beni preziosi.
Chi l’avrebbe mai detto che l’urina umana potesse essere così… dorata?