Recentemente sono stati introdotti software in grado di “leggere” (nel senso di interpretare) le espressioni facciali degli interlocutori in termini di significato emotivo, magari nel corso di una video-intervista telefonica.
Ma questa è solo l’ultima novità (tra l’altro scientificamente valida) che si aggiunge a molte altre che intendono automatizzare l’intero processo della ricerca, alla ricerca di soluzioni più rapide, scientifiche e meno impegnative, anche in termini economici.
Al limite, possiamo immaginare un Product Manager equipaggiato con un software che gli gestisca completamente tutto, o almeno in gran parte, il percorso legato all’innovazione di prodotto, dalla verifica del concetto al test di prodotto alla presentazione delle “risultanze”.
E magari presto un software, od una subroutine, si occuperà persino di escogitare anche il concetto di prodotto, sostituendosi allo stesso Product Manager… (comunque esistono già da molti anni software dedicati all’innovazione di prodotto).
Del proliferare di questo tipo di ricerca automatizzata se ne trovano su Internet tracce vistose, talvolta, mi permetto di dire, esilaranti. L’inconsistenza dei risultati ottenibili da chiunque viene mascherata dalla novità tecnologica e dal luccichio dei grafici “esplicativi” (poveri metodologi, statistici e ricercatori, chi ve lo ha fatto fare di studiare così tanto?)
Provo a dare voce ad un’obiezione che mi sembra di fondo: l’intelligenza del software, quando si sostituisca a quella del ricercatore, è confinata ad un campo esperienziale artificiale e superficiale, privo della dimensionalità dell’esistenza umana (perché il consumatore, prima che un record, per quanto arricchito, in un archivio informatico, è in effetti un membro della specie Homo Sapiens), la quale dimensionalità si acquisisce soltanto percorrendo la traiettoria della umana vicenda.
Nel caso migliore l’intelligenza del software rappresenta un’ombra dell’intelligenza del programmatore (che, per esperienza, posso affermare costituire una forma davvero peculiare di intelligenza). E quindi non può rappresentare un buon punto di partenza per la comprensione del consumatore.
Per utilizzare un esempio classico: al contrario di quello che potrebbe inferire un programma di “survey intelligence”, anche se il canto del gallo precede abitualmente il sorgere del sole, il rapporto causa-effetto nella successione dei fenomeni non è sostenibile. Lo capirebbe anche un bimbo; eppure …