La ricerca di mercato, la quale effettivamente è una scienza più orientata all’applicazione che alla teoria, ha tuttavia il supporto della statistica; quando si disponga di un campione rappresentativo estratto secondo principi di casualità, accettando il rischio del margine di errore, si possono ottenere inferenze applicabili all’universo di riferimento. La rappresentatività del campione è quindi un presupposto irrinunciabile, esattamente come lo è l’estrazione casuale dei rispondenti.
Quando invece si preferisce sorvolare su queste necessarie premesse, beh… che vi devo dire, in fondo anche un orologio fermo da anni un paio di volte al giorno indicherà l’ora esatta… inaffidabilità comunque compensata dall’immediatezza dei risultati, dal contenimento dei costi, dalla qualità scintillante della presentazione, vantaggi che compensano ampiamente ogni e qualsiasi sproposito.
In questo tipo di “ricerca in proprio” non si rinuncia soltanto alla professionalità del ricercatore ma anche alla serietà della metodologia scelta e dei tempi necessari per una raccolta di dati di qualità accertata.
Una volta questo tipo di ricerca veniva definita come pseudo-ricerca ed accuratamente scansata. Oggi però c’è qualcuno disposto ad acquistarla e proporla all’azienda come ricerca verace. Sono troppi quanti fanno finta di crederci, o quantomeno preferiscono evitare di chiamarla per quel che realmente rappresenta, anche ai livelli aziendali più alti.
Bisognerà aspettare qualche innocente che si metta a strillare che il re è nudo?!?
Nel caso qualcuno si senta tentato di svolgere un’attività professionale in proprio, gli propongo un buon libro che nel modo più indolore lo educhi e lo istruisca: Neurochirurgia per dilettanti – sperimentazioni fra amici per una bella serata in allegra compagnia.