Proviamo ad immaginare un’insegna della GDO posizionata da tempo nella mente del consumatore su un livello qualitativamente medio (centinaia di ricerche condotte dai più diversi istituti nei decenni lo certificano), prevalentemente rivolta ad un target di pensionati e lavoratori inquadrati nella fascia di reddito ERA e in parte ERB (quelle rispettivamente inferiori ai 36 e ai 70 mila euro lordi) con un’ampia offerta di prodotti proposti come convenienti, volentieri marcati con il logo dell’insegna.
Anche se la viabilità ed il grande parcheggio avrebbero dovuto favorire l’afflusso della clientela, fin dall’apertura mi ero posto degli interrogativi sul ritorno sull’investimento di una simile scelta.
Ormai, a distanza di anni, assisto ripetutamente allo spettacolo sconcertante di acquirenti che si aggirano tra gli scaffali senza prendere un carrello per riporre le merci, al massimo sono attrezzati di un cestino. La maggior parte esegue i propri acquisti a mani nude prendendo uno o due prodotti. E’ possibile assistere in diretta allo spettacolo degli acquirenti, che molto-acquirenti non sono, dall’alto attraverso una grande vetrina del self-service del primo piano che si affaccia sull’interno del supermercato. Le corsie e le isole mai appaiono affollate anche nei giorni di maggior traffico quando si dovrebbe fare la spesa settimanale importante. Ed infatti sia la spesa settimanale che quella quotidiana i residenti preferiscono rivolgersi al vicino supermercato che ha un posizionamento ben definito nella scelta della qualità dell’offerta e interclassista nella sua immagine.
Un giorno il management decide di aprire all’interno di un centro commerciale un supermercato (in funzione di locomotiva), con un’offerta selezionata di tipo gourmet: vini di prestigio, insaccati e formaggi serviti da banconisti in divisa, con un’esposizione curatissima, frutta e verdura fresca, pane di tutte le forme e origini … con una illuminazione dei vari reparti accuratamente studiata individuando le frequenze che meglio esaltano le merci esposte. Certamente un’offerta alimentare di alto livello per accontentare i gusti più raffinati. Ma forse non è stato adeguatamente preso in considerazione il peso dei valori espressi dal brand e del posizionamento radicato nella mente dei consumatori.Quando l’immagine del brand si è sedimentata su un posizionamento diverso, più “popolare”, l’imposizione di nuovo, diverso, posizionamento rende la dissonanza cognitiva inevitabile per quell’insegna e, anche a fronte di elevati investimenti in comunicazione, il flop era inevitabile.
Nonostante tutto la locomotiva del centro commerciale insiste, evidentemente ha il fiato lungo o il management non vuole ritornare sui propri passi; forse chi comanda non ha ancora ben compreso che il posizionamento non è virtuale ma rappresenta una freccia conficcata nella testa del consumatore e che toglierla, per sostituirla, richiede tempo, pazienza e strategia, e … non è detto!!!