Ci sono stati tempi quando la scuola imponeva agli studenti di imparare a memoria dalle tabelline della moltiplicazione fino alle poesie. Insegnanti e professori molto apprezzavano anche il calcolo mentale, la capacità di eseguire mentalmente moltiplicazioni (o divisioni) a 2, 3 cifre.
Tutto questo è stato abbandonato, come la ricerca della pietra filosofale.
Chi oggi non ha sottomano una calcolatrice? E perché poi imparare a memoria poesie e poemi quando si possono agevolmente consultare su un qualsiasi tablet, dove si può comodamente memorizzare tutta l’epica e la lirica fino ad oggi prodotta?
Ed anche la creatività, ci danno ad intendere, può essere meccanizzata (o simulata); si reperiscono senza difficoltà su Internet programmi che generano poesie, narrativa, sceneggiature, canzoni (parole e musica), trame di film, sulla base di un minimo input da parte dell’utente (forse anche senza, in modo random). Nei programmi più avanzati, infatti, il processo “creativo” si materializza in una successione di scelte tramite menù a tendina, per contenere ulteriormente il coinvolgimento dell’intelligenza umana.
Ormai anche per la ricerca di mercato vengono proposte soluzioni che automatizzano, più o meno completamente, il processo, parcellizzato in sottoinsiemi standardizzati secondo uno schema ad albero per aumentare la passività del processo.
Il sottoscritto resta scettico; almeno fino a quando il target (professionale o consumatore finale) rimane di tipo biologico sembrerebbe meno rischioso affidarsi ad un ricercatore che appartenga alla stessa specie, a scanso di rovinosi inconvenienti. Almeno fino a quando anche il consumatore finale non si transustanzierà a sua volta, come il ricercatore, in formato incorporeo, in un avatar come si usa dire nei giochi on-line.
Perché quella che viene coinvolta nel processo di acquisto non è tanto l’intelligenza quanto piuttosto l’emozionalità e, ad un livello molto meno etereo ma decisamente corporeo, la visceralità delle pulsioni che travagliano l’umano involucro, nel quale la biologica intelligenza con la quale siamo attrezzati risiede.
Un prodotto, lo stesso prodotto, in situazioni diverse lo percepiamo in maniera molto diversa. E’ sufficiente considerare l’effetto placebo. Potrebbe l’ intelligenza artificiale più avanzata riuscire a comprenderlo?