A fronte dell’aumento del consumo di prodotti alimentari trasformati, si è posta per l’industria alimentare la necessità di assicurare – e mantenere inalterate nel tempo – caratteristiche organolettiche imprescindibili quali il gusto e l’aroma.
In soccorso dell’industria alimentare è intervenuta l’industria del profumo, il cui mercato a livello mondiale è praticamente in mano a solo quattro aziende: la Givaudan e la Firmenich (svizzere), l’American IFF e la tedesca Symrise.
Sono proprio queste le imprese che forniscono alle aziende del comparto alimentare le basi per costruire i profumi, gli aromi artificiali più equilibrati, oltre che più e adatti ed economicamente validi, per migliorare le performance del prodotto alimentare.
Già agli inizi degli anni ’90 ho avuto occasione di condurre una serie di test di concetto e di prodotto su delle panne addizionate ai sapori di salmone, funghi e tartufo.
La selezione degli aromi risultava così ben calibrata che il consumatore non solo non si poneva neppure il problema della differenza tra il prodotto naturale e quello addizionato con aromi artificiali, ma valutava persino (durante il blind test) quelli con gli aromi artificiali migliori di quelli naturali. Successivamente il pack avrebbe influito sulla percezione del gusto, innalzandone considerevolmente l’appetizing appeal.
L’individuazione degli aromi artificiali è stata possibile con l’invenzione negli anni ’50 delle prime macchine per la gascromatografia, che permettevano di determinare le sostanze biochimiche responsabili della percezione di sapori ed aromi nel corso della degustazione nel palato e nel naso; i macchinari venivano alimentati con minuscole dosi del prodotto naturale e intercettavano i composti aromatici separati da un gas neutro. Così sono state isolate le diverse componenti degli aromi e gusti.
Un esempio concreto: se viene rilasciata una versione di un qualche yogurt a zuccheri zero o senza grassi, il produttore andrà a richiedere all’industria degli aromi come reintegrare il gusto che, con il taglio delle calorie, era stato rimosso.
Per giungere a questo risultato si utilizzano aromi in una quantità inferiore rispetto alla soglia minima. Uno yogurt senza zucchero, per esempio, potrebbe richiedere l’utilizzo dell’aroma del miele o della vaniglia, ma in una concentrazione talmente bassa da non farlo assomigliare troppo al miele.
In questo modo gli aromi di sintesi aiutano a ricomporre l’autentica esperienza del gusto, o quanto meno ad avvicinarvisi quasi completamente.
È sempre il consumatore a dover valutare l’appropriatezza delle aggiunte che ridanno corpo ad un prodotto “senza” (la nuova tendenza del marketing alimentare: senza zuccheri, olio di palma, glutine, grassi…). Interverrà poi il packaging a restituire interamente al prodotto il suo naturale equilibrio. Ed in questa fase, i test di degustazione del prodotto in condizioni controllate sono indispensabili. Il non sottoporre a test sensoriale (tiny.cc/vdxh6y) il prodotto esporrebbe ad un rischio insensato. A che pro?
Naturalmente tutte le sostanze aggiunte devono figurare nella lista di ingredienti in etichetta, ma solo come formula qualitativa (cioè elencando gli ingredienti solo in ordine decrescente in quantità, perché parte del segreto industriale).