L’obsolescenza programmata non è un’invenzione recente, ma data dal 1924 a seguito dell’invenzione della lampadina ad incandescenza di Edison. La nuova illuminazione si diffuse rapidamente in tutto il mondo, anche se in effetti la lampadina convertiva l’elettricità piuttosto in calore (al 95%!) che in luce.
La domanda di mercato divampò e le aziende concorrenti (a partire da Osram – luce in Yiddish) realizzarono una lampadina analoga a quella di Edison; fu deciso allora di comune accordo di creare un cartello (Phoebus) che imponeva la standardizzazione della forma, della tensione, della potenza e dell’attacco a vite ed anche un limite di vita alla durata della lampadina per aumentarne le vendite: 1000 ore.
Con l’inizio della guerra, l’accordo saltò e con questo anche l’obsolescenza programmata, che oggi sarebbe, almeno teoricamente, vietata ma sempre aggirata (vedi cellulari incatenati alla durata della vita della batteria)
Ai fini pratici l’obsolescenza programmata (quanto la garanzia) è stata sostituita dall’obsolescenza percepita, per cui i prodotti si rinnovano piuttosto sul ritmo dell’aggiornamento estetico del design, piuttosto che a seguito dell’introduzione di novità tecnologiche (spesso di entità minima).
Una lampadina con un filamento di carbonio è ancora accesa ininterrottamente da ben oltre un secolo a Livermore (California) e non accenna a spegnersi.