Il marketing delle opere d’arte segue regole ben precise; quando un artista diventa un marchio riconosciuto ci si può permettere di offrire al mercato qualsiasi cosa. Il potere del marchio legittima tutta la produzione del nostro artista e le aste d’arte sono lì a dimostrare che non esistono limiti.
Inevitabilmente sono state proposte all’ammirazione del volgo anche opere da annusare oltre che da guardare. Abbiamo quindi le opere d’arte a base di letame di elefante (Chris Ofili) ma anche di sostanze autoprodotte senza nemmeno la collaborazione del simpatico mastodonte come nel caso della celebrata “merda d’artista” di Piero Manzoni (battuta ad una recente asta per 275mila euro). Sono opere di riconosciuto valore economico e destinate addirittura a rivalutarsi enormemente nel tempo.
Qualche spunto a titolo gratuito per chi ambisse a proporsi come il Michelangelo del XXI secolo.
Il percorso per diventare un nuovo marchio spendibile sul mercato è in buona parte già consolidato e codificato. Si parte con la sponsorizzazione di un collezionista riconosciuto che investe nell’artista neofita comprando a prezzi stracciatile sue opere. La notizia degli investimento del collezionista determina già da sola un aumento dei prezzi. Il passo successivo consiste nel piazzare l’opera o le opere in contesti museali; qui a Firenze, in Piazza della Signoria e in altre zone cittadine di pregio, assistiamo ad un ricambio continuo di opere esposte e questo fa salire ulteriormente la notorietà, ma soprattutto la quotazione dell’artista. Il riconoscimento istituzionale del contenuto d’arte fa schizzare in alto il prezzo e la popolarità dell’artista che anche solo per contrasto con le opere già presenti nella piazza o nel museo, riempie le pagine dei giornali. A questo punto, l’artista ormai affermato (o il suo collezionista sponsor) per far lievitare ulteriormente il pregio ed il prezzo delle sue opere, ne limita la produzione. Se dispone delle entrature giuste, l’artista si aggancia allo spirito del tempo (si veda i canotti appesi a Palazzo Strozzi) per conferire un significato anche sociale alla sua opera.
In tempi di crisi, paradossalmente, il prezzo dell’opera d’arte continua a crescere, è inevitabile, anche perché una diminuzione del prezzo significherebbe una svalutazione non solo della singola opera, ma di tutta la produzione dell’artista. È proprio la crisi a promuovere le vendite delle opere d’arte nella fascia alta di mercato. Siamo obiettivi: la crisi colpisce i comuni mortali, ma non chi dispone di grandi case con enormi pareti bianche dove piazzare le opere d’arte.