Una volta anche la pubblicità era fatta per durare; in vetta al valico del Poggiolo, lungo la Statale dell’Abetone, c’è tuttora una delle tante fontane in pietra realizzata dalla Campari negli anni 30 per promuovere il brand offrendo un servizio ai viaggiatori.
Ma in fatto di comunicazione pubblicitaria si può risalire molto più indietro, di millenni addirittura: a Pompei le numerose taverne della città ospitavano ancora più numerose prostitute, ciascuna delle quali spiegava la propria offerta di servizi tramite un’insegna, tuttora perfettamente decifrabile. Il fatto era che se pochi erano in grado di leggere, tutti (cioè, almeno i frequentatori della taverna) capivano un’immagine così esplicita. Beh, sì, anche questa è comunicazione pubblicitaria.
Così una volta, e per gli stessi motivi (analfabetismo generalizzato) i locali dei barbieri si facevano riconoscere per un’insegna luminosa lungo la quale si avvolgevano in un movimento a spirale strisce bianche, rosse e blu. Una volta l’insegna dei barbieri (che fino al XXº secolo svolgevano anche la funzione di “cerusici”, dentisti o “cavasangue”) in effetti era costituita da garze bianche e rosse (fasce pulite contrapposte a quelle color sangue) che si agitavano al vento.
A Firenze gli orari di apertura delle “buchette”, rivendite al minuto di vino ed olio delle fattorie per battere la concorrenza degli osti, erano incisi su pietra, segno dell’immutabilità delle cose.
Se la comunicazione era fatta per durare era perché il mondo era piccolo, ristretto, riparato dai cambiamenti che si verificavano su scale di tempi molto più lunghe.
Oggi la pubblicità non solo si è dematerializzata, diventando digitale, ma si fa sempre più effimera; il mondo si è aperto, globalizzato ed i venti del cambiamento lo trascinano senza sosta in un rinnovamento continuo e frenetico.
La velocità di reazione diventa strategica e costituisce una ragione di più per creare relazioni con i consumatori e monitorarne, senza soluzione di continuità, bisogni e sentiment.